Gregorio di Nazianzo detto “il teologo”

Dovrò abbracciare il corpo come un amico

 

L’ascesi cristiana è un argomento fin troppo banalizzato, forse a causa di orientamenti errati ed eccessivi nei quali non è difficile scoprire uno sfondo dualistico. Nell’Ortodossia si benedice la creazione e la si accoglie come dono di Dio. Il corpo fa parte di essa, pur essendo fragile e soggetto alla caducità. Ne consegue un atteggiamento realistico nel quale il corpo non viene esaltato edonisticamente, come se fosse una realtà senza imperfezioni e della quale fruire indefinitamente. Se il corpo non è esaltato indebitamente, non è pure disprezzato perché è anch’esso chiamato a partecipare ad una pienezza che lo trascende e lo trasfigura. Ma per tutto ciò il corpo viene serenamente e pazientemente educato nell’ascesi affinché non sia più la persona a vivere per se stessa, ma Cristo in lei (Gal 2, 20).

Non conosco il modo con il quale io sia stato congiunto al corpo né come, allo stesso tempo, possa essere l’immagine di Dio e impastato di fango. Infatti, anche quando il corpo gode di una buona salute, tuttavia mi incalza e mi preme violentemente, provocandomi dolore. Io lo amo come un amico, ma lo odio come un nemico e un avversario; lo fuggo come una prigione, lo venero come mio coerede. Se tento di indebolirlo e di sconfiggerlo, non trovo più un compagno e un collaboratore del quale servirmi per le imprese più insigni, non ignorando certamente di essere stato creato, appunto, per questo motivo: per dover ascendere, cioè, con le mie azioni, fino a Dio. Se invece mi comportassi più docilmente nei confronti del corpo, cioè come collaboratore, non saprei più come fuggirne la violenza ribelle ed evitare di allontanarmi da Dio, sotto il peso di quei vincoli che mi trascinano a terra e mi ostacolano. Come nemico il corpo è blando, come amico è insidioso. Com’è straordinaria questa unione e contraddizione! Ciò che temo, lo abbraccio; ciò che amo, lo temo grandemente. Prima di fargli guerra, mi concilio con lui; prima di far pace, entro in dissidio con quello. Che sapienza è mai quella che vado così sperimentando? Che mistero è mai questo? Forse Dio consente questo affinché noi, essendo sua proprietà ed essendo venuti dall’alto, esaltandoci e insuperbendoci per la nostra dignità, non disprezziamo il Creatore e, a causa di quella lotta e di quell’inimicizia che intercorre fra noi e il corpo, mai distogliamo gli occhi da lui. Pertanto, quell’infermità che è stata unita a noi frena e coarta la nostra dignità; e ciò affinché noi comprendiamo di essere grandissimi e nello stesso tempo quanto mai abietti, terreni e celesti, caduchi e immortali, eredi della luce e del fuoco, oppure delle tenebre, a seconda che ci sia toccato di propendere verso l’una o l’altra condizione. Questa nostra mescolanza, per quanto io posso comprendere, avviene affinché, avendo l’immagine della dignità divina insuperbito i nostri animi, la polvere invece, li deprima e li raffreni... Ma ora (...) ciò che si deve fare, fratelli, è curare il corpo come un parente ed un amico. Sebbene, infatti io lo abbia accusato come un nemico a motivo di quelle perturbazioni ch’esso reca all’animo, ciò nondimeno, in considerazione di colui che tale unione ha stabilito e realizzato, dovrò abbracciare il corpo come un amico.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/corpo.htm

 

 

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