Atti del martirio di sant’Erasmo vescovo di Antiochia

 

 

S. Erasmo. Affresco bizantino,
metà VIII secolo, Roma Crypta Balbi

 

 

 

Sia il Martirologio geronimiano che il Martirologio romano fissano al 2 giugno la memoria di s. Erasmo, vescovo e martire di Formia in Campania, che subì il martirio sotto Diocleziano e Massimiano, dopo innumerevoli torture. Al di là di questo dato nulla di storicamente certo è attestato se non la presenza delle sue reliquie nella città di Formia, di cui accenna papa Gregorio Magno nel suo epistolario. I leggendari Acta del santo, risalenti al sec. VI., sono probabilmente il risultato della rielaborazione di questi pochi dati certi sul vescovo di Formia, con la storia e gli atti di altri santi omonimi quali lo ieromartire Erasmo di Antiochia ricordato nei sinassari al 4 maggio, l’eremita Erasmo di Ohrid anch’egli ricordato al 2 giugno e un’Erasmo asceta confessore della fede di cui si fa memoria al 18 giugno. Le differenze, da luogo a luogo, nella memoria storica e liturgica, unite a quelle sul piano iconografico avvalorano tale ipotesi. Si potrebbero spiegare così i due similari processi, stando al racconto celebrati in successione temporale di fronte i due augusti dell’epoca, ma che forse erano originariamente due testi diversi attinenti gli altri Erasmo, con-fusi già nell’antichità e finiti col diventare un unico personaggio con quello di Formia.

 

Sulla base di questi Acta del VI secolo fu composta la passio attribuita a Gelasio II[1] (1118-19), che benché più elaborata e arricchita di edotte citazioni storico-ecclesiastiche, nulla aggiunge di più se non ulteriori incongruenze ed anacronismi.

 

 

 

            Sedendo imperatore Diocleziano si levò persecuzione ai cristiani, che qualunque si fosse trovato, che non sacrificasse agl’Iddii, a furia di molti tormenti si morisse. Udendo queste cose il beato Erasmo mosse al diserto per sette anni, dove operò molto di meraviglioso nel monte, che si appella Libano, innalzando dì e notte supplichevoli voci al Signore. Mercecchè venivagli recato cibo per un corvo, ed il Signore operava per mezzo suo molte grandi cose di fatta, che gli angeli entravano in ragionamento con lui. Svariate bestie ancora correvano alla sua cella, e si prostravano all’orme di lui. E si sentì di cielo che diceva: “Erasmo scendi alla tua città”; e subito si rizzò, e discese in Antiochia, ed essendo giù venuto, molti che sentivansi travagliati da spiriti immondi gli si facevano davanti, allora il beato Erasmo imponeva lor le mani a nome del Signore, e detto fatto ne tornavan salvi; ancora convertiva parecchi per mezzo del battesimo al Signore. Or come coteste cose udiva Diocleziano comandò, ne fosse fatta presura, e menato al suo cospetto.

S. Erasmo interrogato dall’imperatore Diocleziano

Affresco bizantino, metà VIII secolo, Roma Crypta Balbi

 

 

Il che recato senza indugio ad effetto, l’imperatore, sedendo a scranna da giudice, entrò ad interrogarlo: “Chi estimi tu di essere, o a qual gente pertieni tu?”.

 

“Io mi son cristiano, ed il cristianesimo confesso”.

 

            E qui vuolsi innanzi tratto notare, il beato avere non solo anima buona, ma essere bello della persona, e volto meglio di angelo, che di uomo, occhi vivi, e scintillanti come raggi di sole, favella dolce, e sonora: intrepido non pertanto, e nulla temendo rispondeva. Al quale l’imperatore:

 

            “Contentati”, disse, “di sacrificare a’ miei numi”.

 

            “O imperatore, cessi Iddio, che io giammai alle pietre, ed alle statue, alle quali tu ti rendi simile, faccia sacrificio; ma io sacrifico al Dio vivo il quale creò cielo, terra, e mare e tutte cose, che si stanno in esso (Psalmo 145, 6); l’anima mia servirà solo a Lui, a te unquamai consento”.

 

            A questo l’imperatore acceso d’ira impose ai littori, venissero percossi i fianchi di lui con piombaiuole. Ed egli in quel che si sentiva battuto volse il guardo al cielo, e disse: “Grazie, o Signore Gesù Cristo, che sei la via di coloro che ai tuoi veraci detti aggiustan fede, per la quale si aggiunge dove l’anima mia anela: soccorri al tuo servo, acciocché non lo ingoi l’abisso della morte”.

 

            A che l’imperatore: “O Erasmo, io osservo te giovine, provvedi alla tua vita, porgi ostia alle nostre divinità, e ti avrai oro ed argento, e vesti inapprezzabili, e grande stato nella mia reggia”.

 

            “O lupo rapace, seduttore delle anime, i tuoi doni non mi separano dalla carità di Cristo, non l’oro, non l’argento, né le tue vesti del più gran pregio del mondo. Sien queste cose con esso teco nel giorno della tua perdizione; ed io all’incontro mi ho l’armatura della fede, cui l’inferno non vale a sprezzare. Ahi! Misero di te, cui eterna fiamma è preparata laddove arde l’angelo delle tenebre, a cui, come figlio a genitore, sei simigliante”. 

 

            L’imperatore invelenì di rabbia, e fe’ cenno, che il beato con bastoni fosse pesto: e comecché per ben due volte si avvicendassero nel suo dorso a tre stanchi ministri altri littori, alcuna lividura non appariva su le sue spalle. Onde tutta la plebe dava in su le grida: “O davvero ch’è grande il Dio dei cristiani, il quale opera in costui tanta virtù”.

 

            Lo imperatore soggiunse: “Popoli la sbagliate, questi esercita l’arte di fattucchieri”.

 

            A cui il confessor di Cristo disse: “E non sei tu come quel diavolo, il quale fece opera di cacciar via di paradiso i progenitori? Empio carnefice, dracone d’iniquità, maestro di maleficî, la mia arte, se àssi a dire tale, la è Cristo il figliuolo di Dio vivo, cui la Vergine Maria ingenerò dello Spirito di Dio, cui i profeti vaticinarono dover avvenire, che perdona i peccati del mondo, e fuga le tenebre di nostra ignoranza, che ti percuoterà in eterno, ed a cui tu altresì renderai ragione”.

 

            L’imperatore bollente d’ira ordinò, venissero acciaccate le carni del beato a colpi di ferree catene: e quegli giulivo cantava il profetico salmo: “Han cangiata Gerusalemme in un tugurio da custodi di pomi” (Psalmo 78).

 

Quindi l’imperatore fatto a ministri liquefare piombo, pece, zolfo con cera, resina, ed olio volle, si versasse su del martire, a cui stava dappresso l’angelo del Signore che gli porgeva conforto: e però rivolto all’imperatore:

 

“Dove”, disse, “mirano le tue minacce? Dove il furor tuo? Tu anzi recasti al mio corpo refrigerio grande”.

 

Di che tutta la plebe gridava: “Lascia pure andare l’uomo giusto, ed il vescovo della sua città; perché il Signore de’ cristiani opera con lui”.

 

E tantosto si sentì forte tremar la terra, e un balenar di luce vermiglia ed un tuonar cupo, che quasi parea si morisse la terza parte del popolo. Ma l’angelo del Signore stava col beato, il quale conduceva gli acciecati uomini alla fede di Cristo. E l’imperatore giudicando, la città per ira di Dio ruinasse, fuggiva, al popolo dicendo: “Questi, che voi vedete, bestemmia gli dei; imperciò tanto spavento è fatto”. Ed infiammatosi di sdegno, comandò il martire in prigione si cacciasse, e si ponesse in su del collo, e su le mani di lui sessanta libbre di ferro con divieto, che qualunque si fosse trovato, che pòrto gli avesse gocciolo di acqua, venisse dannato nel capo. E poscia sigillate le porte del carcere del suo anello, riducevasi al suo palagio.

 

Or in su la mezza notte il beato chiamò al Signore dicendo: “O Signore Gesù Cristo affretta, e levami, affinché il nemico non meni vampo su del tuo servo, né abbiano a dire i popoli dov’è il suo Dio”. Ed eccoti risplendere la prigione, e come se fosse stata sparsa di aromati, gittare odore, e si videro come dodici candelabri d’oro, che fiammeggiavano avanti il beato Erasmo. Mercecché l’angelo del Signore era entrato a lui dicendo: “Erasmo, ecco io son venuto a te” e tantosto si fu liquefatto il ferro, come se cera stata fosse, ed in mezzo di quelli stava cantando, e benedicendo al Signore: “Sii benedetto tu, o Signore, che creasti il cielo, e la terra, a cui sono a legioni gli angeli, e gli arcangeli, ed il novero dei martiri, i quali hanno per amor tuo patito, che usasti misericordia col tuo servo, e cavasti l’anima mia dalle mani dei nemici miei, secondoché liberasti, (Daniele 3) Sidrac, Misael, ed Abdenago del seno dell’estuante fornace, e (Daniele 6) dalle mani del re Nabucco, e (Daniele 13) Daniele tuo servo della fossa dei lioni recatogli alimento per Abacucco il profeta, e come difendesti Susanna dal falso delitto”.

 

            E l’angelo del Signore a lui: “Erasmo levati, muovi meco alla volta d’Italia; colà il Signore ti concederà la vita eterna ne’ secoli”.

 

            E secondo colomba di Cristo raccolte le penne posò nella città di Sidugrido[2]. Nell’altro giorno di poi l’imperatore correndo presso la prigione trovò i suggelli del suo anello, ed avendola dissigillata, comandò ai ministri dicendo: “Menatemi quel grande, il quale stimò per nonnulla i miei dei”.

 

            Ma entrati nella carcere nol trovarono, e videro il ferro fatto come cenere, e si sentì una gran voce: “Noi non trovammo quell’uomo; mercecchè questo esso ferro sembra essere cenere”.

 

            Il che non prima ebbe udito l’imperatore, che dettesi forte della mano in fronte dicendo: “Ahi! Lasso: a che è venuto il mio reame! Che ne dirà il popolo?”.

 

Mercecché vennero quasi quarantamila uomini, e donne allo spettacolo del soldato di Cristo, le vedove, e gli orfani cercavano il vescovo gridando: “Che cosa faceste voi mai? Rendete alla città l’uomo giusto”.

 

Allora l’imperatore compreso da tema disse, che gli dei se lo ebbero innalzato al cielo, e si fu ei liberato con gran premio. Essendo venuto in Sidugrido il beato Erasmo, ed avendo assai rigenerati con le acque battesimali a nome di Cristo, operava tutte cose con virtù: mercecché gl’infermi, ed i ciechi con le orazioni facevano sani.

 

 

S. Erasmo flagellato al cospetto dell’imperatore Diocleziano

Affresco bizantino, metà VIII secolo, Roma Crypta Balbi

 

            E’ v’avea certo uomo riguardevole di gran lignaggio, e de’ maggiorenti della città a nome Anastagio (detto così per anticipazione: cioè fu poi dopo il battesimo così chiamato), il cui figliuolo era morto, ed il cadavere n’era portato al sepolcro; or era stato comandato dal Signore al beato Erasmo, ch’ei il tornasse vivo, ed il beato toccando la bara di lui disse: “Anastagio, se credi nel Signore Gesù Cristo, il quale è nato per lo Spirito Santo da Maria Vergine, tu riceverai redivivo il tuo figliuolo”. Conciosiaché una gran moltitudine di popolo meravigliava a queste parole.

 

Anastagio proruppe in dire: “E tu puoi rivocare a vita il mio nato?”.

 

“Non io, ma il Signore Gesù Cristo cui servo”.

 

“Se tu mi avrai vivo il mio figliuolo ritornato, io, e la mia famiglia, e questo popolo crederemo”.

 

Quindi il beato Erasmo comandò, che si scendesse giù quel cadavere, e segretamente tratti in disparte il padre, e la madre di lui, gittatosi in orazione presso a quel cadavere sclamò: “Giovine levati su (cfr. Marco 5, 40-41) in nome di Gesù Cristo”.

 

Ed eccoti quegli ritornare a vita, e levar gridi al padre volgendosi: “Veramente grande è il Dio dei cristiani; noi finora abbiamo errato: che cosa sono gli dei per noi venerati? Li vidi io là nell’inferno non aver riposo dai tormentatori: solo è grande il Signore di questo Erasmo”. E credette Anastagio, e la casa, e tutto quel popolo, ed in quell’ora ricevettero il battesimo presso quarantamila.

 

Allora il beato esclamò con alta voce: “Io ti ringrazio, o Signore Gesù Cristo; perché ti adunasti un popolo nella via della verità, perciocché tu dicesti nell’evangelica voce: Dimandate, e riceverete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Matteo 7, 7): benedici questo popolo che ti acquistati (1Pietro 2, 9)”.

 

E gli venne voce di cielo: “Erasmo, servo buono, che fatichi per me sopra la terra, qualunque cosa ti farai a dimandare ti verrà conceduta”. Ed il Signore benedisse a quel popolo, che credette allora, e distrusse gl’idoli tutti, che venerava.

 

Erasmo per sette anni ammaestrava il popolo confermandolo nella dottrina di Cristo, e diceva: “Custodite i suoi comandamenti, che ascoltaste, e le meraviglie che operò in voi (Psalmo 118, 2.11); e vestitevi la corazza della fede” (I Tessalonicesi 5, 8).

 

Giunta fu novella a Massimiano imperatore di quanto intervenuto era nella città di Sidugrido per certo scellerato, e sacrilego uomo a nome Probo, che disse: “Ascolta, o pio imperatore, quali cose sieno state fatte nella tua città, e come il tuo reame è stato deluso, ed i nostri dei non so da quale uomo antiocheno sono stati prostrati, il quale confessa quel Gesù Cristo, che fu crocifisso dagli uomini nella Giudea, sia Dio”.

 

Il che come prima fu entrato nell’animo all’imperatore comandò, il beato fosse preso: ed egli fu asceso al tribunale, e fattolo al suo cospetto venire, l’interrogò: “Dì tu, o scellerato, qual è la tua religione?”.

 

Allora il beato Erasmo si tacque, e levò gli occhi suoi al cielo.

 

L’imperatore soggiunse: “Tu non dici molto?” e comandò  gli si schiacciassero le mascelle, ed il beato Erasmo diè in queste parole: “O lupo rapace, pieno d’iniquità, malfattore, al qual fine perseguiti il servo di Dio?”.

 

E l’imperatore: “Chi confessi tu?”.

 

“Gesù Cristo figliuolo di Dio”.

 

“Forse non è questi quegli, che fu conficcato in croce dagli uomini nella Giudea?”.

 

“Io son servo di costui”.

 

“Sii pur tale quale egli si è, e così ti morrai”.

 

Ma il beato Erasmo sorridendo gli disse: “O ottimo imperatore, bene hai detto in modo che io segua le sue orme, e lo spargimento del sangue di Lui è il nostro lume, il quale se tu vorrai conoscere, e credere in Lui, sarai salvo”.

 

L’imperatore ripigliò: “Credi tu pure in quello, e la tua gente”.

 

“Hai ben detto; perché così noi crediamo ed offeriamo sacrifizî di lode, e di giubilo a Colui, che il suo popolo dai peccati ricomperò”.

 

L’imperatore poi: “Provvedi a te, e piegati a sacrificare ai miei dei”.

 

A ciò il beato Erasmo rispose: “Se li vedrò, forse sarò indotto a farlo”.

 

Quindi l’imperatore esultante di gioia con tutto il popolo mosse alla volta del tempio di Giove, e comandò condursi l’uomo di Dio alla città Sirmitana[3], e prepararsi nel tempio degli organi, ed ogni sorta di suonatori.

 

Queste cose come ebbe a vedere il beato Erasmo gliene pianse il cuore, e levando gli occhi al cielo disse: “O Cristo figliuolo di Dio vivo, assistimi, e manda il tuo angelo, il quale mi dia soccorso, e mi conforti in questo combattimento col diavolo, che mi ha preparato”. Ed essendo entrato nel tempio il beato disse: “Dov’è il dio, che m’imponi ad adorare?”.

 

L’imperatore poi prendendolo per la mano il mise più dentro al tempio, e gli mostrò una statua di bronzo della grandezza di dodici cubiti, e disse: “Ecco il mio dio, cui io servo”.

 

E non prima il diavolo ebbe veduto il volto del martire, e dell’atleta di Dio, che cadde giù la statua, e si minuzzò in cenere, ed un grande dracone uscì di quella, ed uccise quasi la terza parte del popolo. L’imperatore poi vedendo essere stato deluso, montò a cavallo, e difilato corse al palazzo percotendosi il petto, e dicendo: “Guai a me! Il mio reame è stato confuso da non so chi uomo di Antiochia”. E la metà del popolo poi gridava: “O santo servo di Dio òra per noi, affinché con ci rechi male questo dracone”.

 

Allora il beato Erasmo disse: “Credete in Dio, nel quale io credo, e sarete salvi, e non vi lasciate trarre in inganno”. Il beato Erasmo comandò al dracone, che non osasse contaminare di lì innanzi uomo di sorta, e vedendo poi tutta la calca dei cristiani quante meraviglie operava Dio pel suo servo, con alta voce dava lodi a Cristo. Il beato soggiunse: “Ecco quali virtù Cristo adopera per via di chi crede in Lui (Luca 2)”.

 

E ricevettero il lavacro del battesimo dal beato quasi quarantamila uomini; mercecché pareva come combattimento in cielo, e spettacolo di angeli, e della parte del diavolo, la quale tuttora combatteva. Allora il beato Erasmo levò gran voce: “Gloria nell’alto de’ cieli a Dio, e pace in terra agli uomini di buona volontà” e tutto il popolo che si era convertito a seguire Dio rispose: “Amenne”.

 

Tutta la città Sirmitana poi si turbò, ed atterrito l’imperatore spedì una soldatesca armata, e comandò, tutti coloro i quali si erano convertiti a Dio, venissero uccisi di spada. Furono morti da trecento trenta uomini, i quali s’ivan raccomandando alle orazioni di s. Erasmo martire, ai quali disse: “Andate pur lieti a nome del Signore alla città santa, che Dio v’ha acconcia, ed io dopo non guari vi verrò”: V’avean poi degli angeli, che correvano su per le nubi del cielo, ricogliendo le anime di quei martiri trionfanti per sì glorioso patire, e venne una voce di quei, che andavano in cielo: “La via dei giusti si è renduta diritta, ed il cammino dei santi è stato preparato”.

 

Il che vedendo il beato Erasmo si gratulava, come un buon pastore sopra le agnelle, che menò a Cristo. Ma lo imperatore invelenì di rabbia, e comandò farsi una tunica di bronzo affuocata sopra la sua persona, e che gli venisse strettamente affibbiata addosso dicendo: “Ora vedrò se il tuo Dio ti caverà delle mie mani”.

 

Ed il beato Erasmo incontro: “O carnefice pieno d’iniquità, figliuolo del diavolo, loda pure la tua svergognatezza; perché sei più tristo di un cane, io ti ho detto, ed ora ti ripeto, non temo io tue minacce, e se ne farai più acerbe, il mio cuore non entrerà in timore alcuno”. E si segnò di croce, e si vestì la tunica, che saettava fuoco addosso, cantando il profetico salmo (Psalmo 85): “Entrammo nell’acqua, e nel fuoco, ma tu ci hai tratti fuori in luogo di refrigerio, e ci hai provati (Sap. 3) come oro nella fornace, e ci hai ricevuti come vittime di olocausto”. E detto fatto la tunica di fuoco, che aveva vestito, ammortò ogni ardore, e si rendé fredda a maniera di neve di fatta, che niuna scottatura sopra di lui fossesi trovata.

 

Allora il beato Erasmo disse: “Ecco, o imperatore, sei confuso una col tuo genitore il diavolo, col quale sarai per abbruciare nell’infernale ardore; mercecché il mio Signore Gesù Cristo mi liberò”.

 

Il popolo poi dava in su le grida dicendo: “È il vero, ch’è grande il Dio dei cristiani, il quale opera tante virtù per costui”.

 

L’imperatore rispose: “Le sono quelle arti de’ fattucchieri, che comanda il fuoco, e prende inganno dei nostri numi”.

 

Al che il beato Erasmo “O stoltissimo imperatore, quali stimi sien mie fattucchierie? Le mie arti, se tali hanno a chiamarsi, sono Cristo figliuolo di Dio vivo: quegli, che impera, e si ride delle tue divinità, le pietre, ed i tuoi sordi bronzi fabbricati dagli uomini, alle quali tu sei simile, da che Gesù Cristo è vivente, e vince con le virtù”.

 

L’imperatore soggiunse: “Fin quando posso io portare tue ingiurie?”.

 

“Ancora io fo le meraviglie dell’impudenza della tua fronte; perché non ti prendi alcuna vergogna”.

 

            Allora l’imperatore comandò ai suoi ministri, prepararsi una caldaia capevole di venti secchie, e mescolarsi piombo, e pece insieme con cera, resina, ed olio, e riempirsi a ribocco, ed appiccarvi il fuoco; e venne empiuta a capello dai suoi ministri la caldaia, e bolliva, ed ondeggiava, come mare. Allora il beato Erasmo disse all’imperatore: “La è questa caldaia il mio refrigerio”.

 

Laonde fattosi il segno di Cristo discese in essa, e subito la voce (Psalmo 28) del Signore sopra le molte acque, il Dio di maestà si fé sentire; e si riversò una ondata della caldaia, e ne fu bruciato, e cotto l’imperaore, il quale saltò su dolorando a gridare: “Io brucio, o uomo di Dio, òra per me”.

 

Allora il beato Erasmo disse: “Guai a te! O lupo rapace, guai alle fiamme, che a te preparò Iddio insieme col tuo genitore il diavolo, ed ai ministri di lui, io so che il tuo cuore si è indurito; ma atteso questo popolo a te d’intorno, ti coglirà bene”. E quel dolore si ristette, e parecchi poi in quell’ora cedettero.

 

L’imperatore poi vide essersi deluso, e comandò, si serrasse in una stretta prigione, e si catenasse con un grosso peso di ferro, ed essendovi il beato entrato gli apparve un giovine simile al figliulo di Dio, e chiamandolo gli disse: “Erasmo, levati su, mi son io l’angelo Michele, che son mandato a te per menarti nella provincia di Campania in una città, la quale si chiama Formi, ad insegnare il popolo”. E prendendolo dalla città Sirmitana, ed aggiungendo a certo luogo detto Curiano[4] trovò una navicella da Dio medesimo accinta, ed il trasportò nella provincia di Campania.

 

Nel dimani poi l’imperatore arrovellato si turbò per non averlo trovato, dicendo che Dio l’avea tolto. Ma il servo di Dio, e martire di Cristo venne, e si fermò nella città di Formi con una schiera di angeli, e per sette dì stava tranquillo. L’angelo del Signore poi ogni dì gli porgeva il pane, ed udì voce di cielo dicendo: “Erasmo vieni, e riposa nella città, che Dio ha preparata ai tuoi fratelli martiri, e profeti; e ricevi il frutto del travaglio; mercecché per mezzo tuo sono stato onorato in cielo, ed in terra”.

 

E guardò su Erasmo in cielo, e vide una corona indicibile, ch’era per andare all’incontro di lui con grande gloria, e cori di apostoli, e di profeti, ed inchinò il capo suo ed adorò al Signore, e disse: “O Signore Gesù Cristo ricevi l’anima del tuo servo”. Ed avendo fornita l’orazione si morì, e fu veduta l’anima di lui meglio bianca che neve, ed in qual modo venisse condotta dagli angeli con grande gloria, e con loro entrasse nel cielo nel 2 giugno. Quindi il beato Erasmo scioglieva le preghiere al Signore per le vedove, e per gli orfanelli dicendo: “O Signore Gesù Cristo, unigenito figliuolo di Dio padre, il quale mi facesti riposare nel mio luogo, ch’è il sito della tua abitazione, fa sì, che chi mi dimanderà alcuna cosa in nome tuo riceverà  la sua mercede ognidì, io Erasmo non partirò di questo luogo”. Trionfò poi il martire di Cristo in cielo, e si sentì una voce chiarissima dicendogli: “Erasmo servo buono, qualunque cosa tu dimandasti, riceverai, entra nel gaudio del tuo Signore, e banchetta coi giusti, ed eletti del Signore nei secoli”.

 

Passò poi di questa vita, imperando Diocleziano, e Massimiano, il due di giugno il beato Erasmo regnante con Gesù Cristo Signore nostro, cui si deve onore, e gloria nei secoli de’ secoli.

 

 

L’urna di età romana contenente le reliquie di s. Erasmo a Gaeta

 

 

 

 

Da: Gli atti del martirio di sant’Erasmo vescovo di Antiochia recati di latino in italiano con annotazioni del sacerdote napolitano Biagio Giustiniani, Napoli, 1846, 9-21.

 

 

Immagini da: Wikipedia

 

[1] Il cui testo è consultabile sul sito http://www.medioevoformia.it/vitaetpassioserasmi.html.

[2] Città della Pannonia inferiore, non distante da Sirmio.

[3] Sotto Diocleziano Sirmio divenne una delle capitali della tetrarchia, divenendo presto capitale della Pannonia Secunda.

[4] Isola dell’Adriatico, oggi chiamata Veglia.

 

 

Pagina iniziale