Atti[1] dello ieromartire Gennaro[2],

vescovo di Benevento

 

festa 19 settembre*

 

 

Al tempo di Diocleziano, imperatore, nel quinto consolato di Constantino[3] e settimo[4] di Massimiano, vi fu una grande persecuzione contro i Cristiani. In quel tempo Diocleziano nominò Timoteo[5], un pagano, governatore nella provincia della Campania e gli ordinò di far compiere a tutti sacrifici agli idoli e costringere anche i credenti in Cristo a fare lo stesso. Accadde che mentre stava facendo il giro consueto delle città, giunse a Nola. Là ordinò ai funzionari di presentarsi di fronte a lui e quando essi si presentarono cominciò a chiedere loro riguardo i giudizi dei suoi predecessori.

I funzionari gli riferirono i loro atti[6] e, quando giunsero ai fatti riguardanti il benedetto martire Sossio, diacono della Chiesa di Miseno e Proculo diacono della Chiesa di Pozzuoli, ed Eutichete ed Acuzio, e di come questi erano stati tormentati da varie torture ed erano stati messi in prigione per ordine del giudice, lui chiese agli ufficiali quello che era stato fatto con loro. Essi risposero dicendo che questi furono detenuti per molto tempo in catene e inoltre si abbandonarono a diabolici commenti riguardo al benedetto Gennaro, vescovo di Benevento.

Questo Timoteo, ancor più ingiusto, avendo sentito questi commenti riguardo a Gennaro, ordinò che venisse portato di fronte a lui; e quando fu presentato di fronte al suo tribunale a Nola, Timoteo il giudice gli disse: “Gennaro, ho sentito della reputazione della tua famiglia e ti esorto a sacrificare agli dei in obbedienza alle delibere degli invincibili regnanti. Ma se non sei disposto a farlo io ti sottoporrò a tormenti tanto orribili che il Dio che adori quando li vedrà lui stesso li temerà”.

San Gennaro tuttavia rispose: “Taci, o uomo infelice, e non insultare alla mia presenza Colui che ha creato cielo e terra, perché il Signore Dio non può sentire una tale bestemmia come quella che è uscita dalla tua bocca e può distruggerti e sarai muto e sordo, non sentendo e come un uomo cieco che non vede”.

 Avendo sentito queste cose il tiranno Timoteo dice al santo: “È nel tuo potere che con alcuni incantesimi qualunque tu o il tuo Dio possiate prevalere contro di me?”.

San Gennaro gli rispose: “Il mio potere non è nulla ma lì in cielo c’è un Dio che può resistere a te e a tutto ciò che ti obbedisce e ti appoggia”. E detto questo il tiranno ordinò che venisse di nuovo portato alla prigione.

Molto adirato ordinò che un forno venisse scaldato per tre giorni e che il santo vi venisse gettato. L’uomo santo tracciò il segno della croce sulla sua fronte, guardò su il cielo ed estese le sue mani, entrò nel forno ardente lodando Dio, dicendo: “O Signore Gesù Cristo, per il tuo nome santo io abbraccio volentieri questa sofferenza ed io attendo secondo la promessa che hai fatto a quelli che ti amano. Ascolta la mia preghiera e liberami da questa fiamma, tu che eri coi tre bambini, Anania, Azaria e Misaele nel forno ardente[7] e sei con me in questa mia prova per liberarmi dalle mani del nemico”. Dicendo queste cose, Gennaro benedetto cominciò a camminare con angeli santi in mezzo al fuoco lodando il Padre e il Figlio e il Santo Spirito.

Quando i soldati che erano vicini al forno sentirono san Gennaro al suo interno che lodava Dio, tremarono di grande paura e corsero con molta alacrità e dissero al giudice, “Noi t’imploriamo, signore non essere adirato con noi, ma abbiamo sentito la voce di Gennaro nel forno che invoca il suo Dio, e terrorizzati grandemente siamo fuggiti”. Timoteo sentito questo ordinò che il forno venisse aperto e quando venne aperto le fiamme rigettate fuori divorarono i pagani increduli che si trovavano vicino a lui. Ma san Gennaro apparve lì in mezzo che glorifica il Signore Gesù Cristo così che il fuoco non poteva lambire i suoi vestiti o i suoi capelli.

Timoteo tuttavia quando ebbe sentito questo gli ordinò di fronte a lui e gli disse: “Di che profitto ti è la magia che eserciti e se è potente? Io ti farò perire con molti tormenti”. Gennaro benedetto rispose: “Non sarà bene per te, tiranno crudele, allontanare il servo di Cristo dalla verità del suo Signore o obbligarmi a obbedire attraverso la paura. Io spererò nel Signore. Io non temerò nessuna cosa che uomini possono farmi[8]”, e avendo risposto così il giudice ordinò che fosse ricondotto in prigione.

Un altro giorno di mattina presto Timoteo convocò Gennaro di fronte a lui: “Per quanto tempo, infelice uomo, rifiuterai di sacrificare agli dei immortali? Ora avvicinati ed offri incenso. Se non lo farai ordinerò che tu sia decapitato e se lui può, lascia che il tuo Dio ti liberi dalle mie mani”. Il santo rispose: “Tu non sai che il potere di Dio è grande. Che se ti pentissi sarebbe così probabile che il mio Dio ti perdonerebbe, tu che dici di Lui non essere capace di liberarmi dalle tue mani! Quando parli così tu accumuli collera su te stesso per il giorno dell’ira”.

Al giudice non piacque questo discorso e ordinò che le sue catene venissero rimosse. Gennaro pregò Dio dicendo: “O Signore Gesù Cristo, che dall’utero di mia madre non mi hai abbandonato[9], ora ascolta il tuo servo che piange verso di te e comandagli di partire da questo mondo ed ottenere la tua misericordia”. Il giudice lo consegnò di nuovo in prigione per pensare a come lo avrebbe ucciso.

Mentre era sorvegliato dai soldati nella dura prigionia, due del suo clero, il diacono Festo ed il lettore Desiderio, venuti a conoscenza della incarcerazione del loro vescovo ed essendo guidati dal Santo Spirito, immediatamente uscirono da Benevento e giunsero a Nola, e lì piangendo gridarono: “Perché un siffatto uomo è in prigione? Che crimini mai commise? Quando mai non riuscì ad aiutare chi era in difficoltà? Quale uomo ammalato non lo ha visitato senza riguadagnarne salute? Chi avvicinatosi a lui piangendo non se ne andò via allietandosi?”.

Le loro parole furono riferite a Timoteo che subito ordinò che venissero imprigionati ed insieme a Gennaro chiese allora che fossero portati di fronte a lui, quindi chiese a Gennaro chi fossero i due ed il santo rispose: “Uno è il mio diacono e l’altro è il mio lettore”. “Si proclamano Cristiani?”. “Certamente, e se lo chiederai loro, io spero nel mio Signore Gesù Cristo che loro non negheranno di essere Cristiani”, e interrogati, loro risposero: “Noi siamo Cristiani e siamo preparati a morire per l’amore di Dio”.

Allora Timoteo pieno di rabbia ordinò che Gennaro il vescovo, insieme a Festo il diacono e Desiderio il lettore, venissero legati in catene e fossero trascinati di fronte al suo carro fino alla città di Pozzuoli, disponendo che là insieme a Sossio, Proculo, Eutiche ed Acuzio tutti loro fossero infine gettati alle belve feroci. Quando giunsero a Pozzuoli, furono tenuti in prigione finché l’arena non fosse stata preparata. Nel giorno fissato furono condotti nell’anfiteatro e Timoteo giuntovi ordinò che le bestie fossero lasciate libere; e quando questo fu fatto, san Gennaro gridò: “Fratelli, afferrate lo scudo della fede[10] e ci permetterà di pregare il Signore nostro ausiliatore, nel nome del Dio che ha fatto cielo e terra”. E la misericordia di Dio era così presente che gettò le bestie selvatiche ai piedi di Gennaro come pecore a testa bassa.

Il giudice incredulo fece portar via le bestie e tolti i santi di Dio dall’arena li portò di fronte al suo tribunale, dove sedendo in stato (al suo ufficio) dettò la loro sentenza[11]: “Noi ordiniamo che vengano decapitati, il vescovo Gennaro, ed i diaconi Sossio, Proculo e Festo, il lettore Desiderio, Eutiche ed Acuzio, cittadini di Pozzuoli che si sono professati Cristiani e hanno disprezzato i sacrifici degli dei ed i comandi dell’imperatore”. Ma il benedetto Gennaro guarda al cielo disse: “Signore Gesù Cristo, che sei disceso dall’alto per la redenzione del genere umano, prendimi e liberami dalla mano di questo nemico ed io t’imploro, mio Dio, castiga Timoteo per le cose che ha fatto contro di me tuo servitore, e acceca i suoi occhi così che lui non possa vedere la luce del cielo”.

Quando ebbe finito la sua preghiera l’oscurità cadde sugli occhi [di Timoteo] ed improvvisamente divenne cieco. Gennaro poi pregò Dio, e disse: “Io ti rendo grazie, Padre del nostro Signore Gesù Cristo che hai ascoltato il tuo servo e hai offuscato gli occhi dell’empio Timoteo, perché molte anime per sua colpa sono state pervertite agli spiriti cattivi”.

Allora Timoteo stava soffrendo coi suoi occhi colpiti ed il dolore stava aumentando. Pentito cominciò a gridare e dire agli ufficiali: “Andate, portatemi Gennaro”. E giunti lo trovarono gettato dai carnefici sulla pendenza che conduce alla Solfatara e ritornati lo presentarono di fronte al giudice ed una grande moltitudine di persone fu attirata dalla vista. Ma Timoteo cominciò con grandi gemiti a gridare e dire al benedetto Gennaro: “Gennaro, servo del Dio altissimo, prega il Signore, tuo Dio, per me cieco che io possa recuperare la vista perduta”.

L’ampolla con il sangue di San Gennaro

Allora Gennaro elevati i suoi occhi al cielo pregò: “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe ascolta la mia preghiera e guarisci a Timoteo sebbene indegno i suoi occhi, che tutta la gente presente possa sapere che tu sei Dio e non ce ne sono altri; che noi non possiamo rendere male per male”. E quando san Gennaro ebbe terminata la sua preghiera (gli occhi) furono aperti.

La moltitudine avendo visto le cose meravigliose che il Dio pregato da Gennaro suo martire, molti degli spettatori crederono nel Signore Gesù Cristo, circa cinquemila, e gridarono elevando le loro voci: “Non saranno temuti un tale Dio e un così grande un uomo? Non vorrà forse vendetta per le loro sofferenze e la loro morte e non moriremo tutti allo stesso modo?”. Gennaro era molto bello sia nel corpo che nell’indole. Quando l’empio giudice Timoteo vide tale folla rivolta verso il Signore, si agitò e (affinché il servo del Signore Gesù Cristo non venisse privato della sua corona) temendo i comandi dell’imperatore ordinò ai soldati di portarlo via rapidamente e decapitarlo coi martiri santi.

Mentre erano in viaggio per il martirio un tal vecchio ed uomo molto povero, sperando di ottenere un favore da Gennaro si mise sulla sua via e cadde ai suoi piedi, implorandolo se possibile che di ricevere qualcosa dei suoi vestiti. Ma Gennaro disse a quell’uomo vecchio: “Quando il mio corpo sarà stato seppellito tu vedrai che io steso ti darò il mio orarium[12], col quale mi sarò bendato gli occhi”. Anche la madre di san Gennaro che viveva a Benevento, tre giorni prima che suo figlio patisse, vide in sogno che Gennaro stava volando nell’aria al cielo e mentre lei era ancora confusa dal sogno e si chiedeva che cosa volesse dire, improvvisamente le fu annunciato che suo figlio era stato imprigionato per l’amore di Dio. Per quanto ne fu grandemente terrificata, prostrandosi in preghiera di fronte al Signore, emise il suo spirito.

Nel frattempo quando i santi erano arrivati al luogo dove sarebbero stati decapitati, che è alla Solfatara, san Gennaro inginocchiandosi pregò: “Signore, Dio onnipotente nelle tue mani io affido il mio spirito”[13], e alzandosi prese il suo orarium e bendò i suoi occhi ed inginocchiandosi di nuovo, mise sua mano sul suo collo e chiese al carnefice di colpire. Il carnefice colpì con grande forza e tagliò alla stesso tempo un dito della mano del santo e la sua testa. Gli altri santi ricevettero similmente la loro corona[14].

San Gennaro dopo la sua esecuzione apparve al vecchio uomo e gli offrì, come aveva promesso, l’orarium che aveva coperto i suoi occhi e gli disse: “Guarda quello che ti avevo promesso, prendilo come io te lo promisi”, e questi lo prese e lo nascose nel petto con grande riverenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Le reliquie di San Gennaro
 

I carnefici e due altri ufficiali vedendo il vecchio, gli chiesero ridendo: “Hai avuto quanto ti era stato promesso dal decapitato?”. E quegli rispose, “Sì”, e gli mostrò l’orarium che loro riconobbero restando molto stupiti.

Nell’ora stessa che san Gennaro ed i martiri santi furono decapitati, il crudele Timoteo cominciò a soffrire moltissimo, cominciando a gridare forte: “Io soffro questi dolori per avere trattato così empiamente Gennaro il servitore di Dio. Gli angeli di Dio [mi] tormentano”. E dopo essere stato tormentato per molto tempo emise lo spirito.

I Cristiani di varie città restarono a guardia dei corpi dei santi; avendo possibilità di portarli via di notte alle loro proprie città, mantenendo un accurato controllo sebbene in segreto; e quando la notte giunse e tutti stavano dormendo, san Gennaro nel silenzio della notte apparve ad uno di quelli che si erano preparati per portare via il suo corpo e gli disse: “Fratello, quando verrai per portar via il mio corpo sappi che il dito della mia mano è andato disperso. Cercalo e rimettilo col mio corpo”. E così fu fatto come il santo stesso aveva richiesto. I corpi dei santi furono deposti alla Solfatara dove più tardi fu fondata una chiesa degna di san Gennaro il martire.

Qui finisce la passione del Martire Gennaro.

 

 

 

APPENDICE UNO: Paragrafo supplementare trovato in alcuni codici.

 

Di notte quando ogni gruppo stava cercando di trasportare i corpi come loro propri patroni, i napoletani presero il benedetto Gennaro come loro patrono e furono favoriti da Dio, il cui corpo dapprima invero nascosero alla fattoria di Marciano[15]. Dopo, quando la pace fu ripristinata, vescovi venerabili, insieme con tutti i parenti di san Gennaro, e col clero presero il suo corpo lo portarono a Napoli tra inni e cantici e lo deposero nella basilica dove ora si trova. A chi, attraverso i suoi meriti, Gesù Cristo non cessa conferire favori memorabili fino al giorno presente: il suo dies natalis è celebrato il 19 settembre. I suoi concittadini di Miseno hanno preso san Sossio il diacono e lo hanno deposto nella basilica in cui ora riposa, 23 settembre: ed i loro concittadini di Pozzuoli hanno preso san Proculo diacono e san Eutichete e san Acuzio e li hanno deposti nella villa di Falcidio che sta presso la basilica di santo Stefano alla diramazione delle tre strade. Allo stesso modo i loro concittadini hanno portato san Festo e san Desiderio a Benevento.  

 

 

APPENDICE DUE: dal martyrologio di Beda come dato dai Bollandisti.

 

"Il 19 settembre, a Napoli nella Campania la festività di san Gennaro, vescovo di Benevento con Sossio di Miseno un diacono e Festo il suo diacono e Desiderio il suo lettore; che dopo le catene e la prigione sono stati decapitati a Pozzuoli sotto Diocleziano, imperatore e Draconzio, giudice. Mentre venivano condotti alla morte furono visti da altri, Proculo diacono di Pozzuoli e due laici, Eutichete e Acuzio e questi chiesto perché dei giusti erano stati condannati ad essere uccisi, i quali quando il giudice vide che erano cristiani ordinò che venissero decapitati con gli altri. Così tutti e sette ugualmente avendo sofferto morirono. Ed i cristiani presero i loro corpi entro la notte; i Napoletani deposero san Gennaro in una basilica vicino alla città e i Misenesi, Sossio in un altra basilica e i Puteolani, Proculo ed Eutichete ed Acuzio nella basilica di santo Stefano e i Beneventini presero Festo e Desiderio”.

 

 

Traduzione e note a cura di E. M.
© Tradizione Cristiana

Gennaio 2009

 

 

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GLORIA A DIO!

 

 

* La Chiesa Ortodossa celebra la memoria del santo ieromartire Gennaro e dei suoi compagni il 21 di Aprile.

[1] Si tratta degli Atti Vaticani, un testo del VIII-IX secolo; dal punto di vista critico rientra più nel genere degli Acta Romanzati. Storicamente più attendibili risultano essere gli Atti Bolognesi risalenti al VI-VII secolo, il cui testo è più semplice e lineare. Nonostante ciò, gli Atti Vaticani non sono privi di elementi derivati da testi più antichi, seppur amalgamati all’interno di una narrazione dal sapore leggendario.

[2] Il nome latino originario del santo è “Januarius”.

[3] Costanzo

[4] Probabilmente “quinto”.

[5] Negli Atti Bolognesi il nome del giudice è Draconzio.

[6] Acta, cioè i verbali dei procedimenti.

[7] Daniele 1-3.

[8] Salmo 55, 11.

[9] Salmo 70, 6.

[10] Efesini 6, 16.

[11] Era uso frequente, durante le persecuzioni anticristiane, che i processi venissero svolti presso i circhi, in modo da arricchire lo spettacolo per le folle.

[12] Orarium in latino, Oράριον in greco: insegna dell’Ordine sacro, comune a diaconi, presbiteri e vescovi, benché indossata in posizione differente, e nell’uso ortodosso di differenti fattezze, dove col tempo restò ad indicare esclusivamente l’insegna diaconale; nel mondo cattolico latino odierno è più conosciuta col nome di “stola”.

[13] Cfr. Luca 23, 46.

[14] Era il 19 settembre del 305

[15] Agro Marciano, da alcuni studiosi identificato con la località Fuorigrotta.

 

 

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