Passione dei santi martiri Marcellino e Pietro

 

Affresco delle catacombe di Marcellino e Pietro.
In alto: Cristo tra gli apostoli Pietro e Paolo;
in basso: l’Agnello di Dio tra i martiri Marcellino e Pietro e altri due santi

 

I santi Marcellino e Pietro, presbitero ed esorcista della Chiesa romana, soffrirono la passione a Roma durante le persecuzioni di Diocleziano. La testimonianza più antica sul loro martirio, ci è giunta attraverso il carme composto da papa Damaso I (366–384) e collocato sul loro sepolcro. Damaso da bambino aveva ascoltato il racconto della passione dei martiri dalla bocca del loro stesso carnefice, che si era in seguito anch’egli convertito alla fede cristiana. Il carme damasiano nella sua essenzialità riferisce che i due santi vennero condotti in un luogo chiamato Sylva Nigra (sulla via Cornelia) poi chiamato Sylva Candida in onore dei martiri, e decapitati dopo essere stati sottoposti a varie torture; i loro corpi ricomposti dalla matrona Lucilla, furono deposti nelle catacombe Ad Duas Lauros (oggi a Torpignattara), al terzo miglio della via Labicana. I corpi sepolti in una cripta delle catacombe in seguito a loro intitolate, vi rimasero fino al VII secolo, quando papa Gregorio IV inviò parte delle loro reliquie a Carlo Magno in Francia, dove vennero traslate nell'abbazia di Seligenstadt, presso Magonza; altre loro reliquie furono portate presso la cattedrale di Cremona, ed in alcune chiese della città di Roma.

La Passio, il cui testo presentiamo nella volgarizzazione del Dandolo, risale al VII secolo ca. Il testo semplicemente ricalca ed amplia la breve traccia del carme, aggiungendo alcuni particolari, non tutti storicamente attendibili.

La memoria dei santi martiri romani Marcellino il presbitero e Pietro l’esorcista è unanimemente celebrata dai cristiani il 2 giugno.

 

 

Martyrium Sanctorum Marcellini et Petri

Anno 302

 

I santi Marcellino, Pollione e Pietro. Roma, catacombe di Ponziano
 

            La benignità del Salvator nostro giunse a tale, (qual fu provata dai Martiri) non solamente da coronare gli amici della Fede, ma da strappare a’ claustri infernali anco i nemici di questa.

            Pietro esorcista giaceva incatenato in un cupo carcere a Roma, così strettamente che non poteva dar crollo. Al suo custode, dolente che l’amatissima figlia Paolina fosse dominata dal demonio, il prigioniero disse: “Se tu crederai, o Antemio, in Gesù Cristo, universale liberatore di chiunque crede in lui, ti avrai sana la figlia”.

            Antemio: “Mi suona arrischiato il tuo consiglio, dacché non vedo che cotesto tuo protettore liberi te, e sì che sei ridotto a mal partito; molto meno poi mi libererà la figlia s’io crederò in lui”.

            Pietro: “Egli può sciogliermi da questi ferri, e sottrarmi ad ogni pena solo ch’Ei lo voglia, ma non gli piace privarmi della corona, e consente ch’io compia il mio arringo, con tempora rie sofferenze guadagnandomi un guiderdone eterno”.

            Antemio: “Se vuoi che creda nel tuo Dio fa che accada ciò che sto per dirti;cioè, che, dopo d’aver addoppiati i tuoi ceppi, e munita di duplici sbarre la porta di questa prigione, tu n’abbia ad uscire,€ ed oltracciò mi guarisca la figlia”.

            Pietro: “Vanne ad apprestarmi una camera: senza che alcuno mi disciolga, mi apra l’uscita, mi guidi per via, io giungerò alla tua casa, e vi penetrerò; mi toccherai, mi vedrai, mi udrai; e, se diverrai credente, ti risanerò la figlia; e ciò sarà fatto, non per obbedire al capriccio della tentazione che ti domina, ma a dimostrazione della divinità del mio Signore Gesù Cristo”.

            Antemio tra sé: “Costui delira per effetto de’guai che lo colsero”, e giunto a casa raccontò l’occorsogli alla consorte Candida che gli disse: “Non volere reputare delirante chi ci promette risanata la figlia. E quando disse che verrà?”.

            Antemio: “Oggi stesso”.

            Candida: “E se ciò si avvera, negherai tu ancora che Cristo sia Dio?”.

            Antemio: “Mi sdegno della tua stoltezza; niun Dio, nemmeno Giove, potrebbe cavarlo di là”.

            Candida: “E per questo vorremo tenere in conto di nume maggiore di Giove l’operatore del prodigio”.

            Con questi parlari scese la notte, e scintillarono le stelle, lorché Pietro si fece loro avanti bianco-vestito, tenendo in mano una croce. Antemio e Candida gli si gettarono appiedi proclamando la divinità di Cristo; e in quell’istante Paolina fu liberata dal demonio; del qual fu udita la voce in aria: “Mi ha vinto la virtù di Cristo ch’è in te, o Pietro”. Tutti quanti erano in quella casa domandarono d’esser fatti cristiani, ed anche trecento abitanti del vicinato, appena riseppero la novella. Corse Pietro a cercare Marcellino prete che li catechizzò e battezzò in casa d’Antemio. Cadde opportunamente ammalato il giudice Sereno, onde Pietro e Marcellino ebber agio giorni di catechizzare i neofiti.

            Venne avviso del cancelliere ad Antemio, che stesse pronto a presentare i suoi prigionieri la notte seguente. Il giudice sedeva sul suo tribunale prima che albeggiasse.

            Fattosi innanzi Antemio disse: “Pietro, che semivivo pe’ sostenuti tormenti mi consegnasti, in nome del suo Dio sciolse i ceppi di tutti i suoi compagni, e dié loro facoltà d’andarsene: sol egli e il prete Marcellino rimasero”.

            Sereno infuriato comandò che Antemio venisse battuto co’ flagelli piombati: indi fe’ venire l’esorcista, ed il prete: “Vi tratterei”, dicendo loro, “mitemente, e poco avreste a temere di carnefici, se v’induceste a ripudiare la vostra religione sacrilega; così scemereste l’aggravio fattovi d’avere emancipati rei d’ogni misfatto”.

            Marcellino: “I misfatti gravano coloro che li commisero sinch’essi non credono in Cristo: nel unto che credono, Dio lor rimette le colpe”.

            Sereno comandò che Marcellino venisse percosso di pugni nello stomaco; e, stancatisi i battitori, lo separò da Pietro, e lo fe’ chiudere nudo in una segreta senza luce, e senza alimenti: poi voltosi a Pietro disse: “Ti farò legar domani ad un palo, e là morrai sbranato dalle fiere, se oggi non sagrifichi”.

            Pietro: “Ben se’ di nome Sereno; ma in tutto il rimanente, assai nubiloso, e temporalesco, dacché, soggetto tu stesso a morire, intimi ad un tuo simile orrendi strazii tentando ottenebrare in mente cristiana la speranza della immortalità, suo rifugio e sostegno! Tu maltrattasti e carcerasti Marcellino sacerdote del sommo Dio, che te avrebbe potuto sciogliere dalle colpe della passata incredulità: Egli piacesi della provata fede della tua vittima; a te serbando pena sempiterna”.

            Sereno ordinò che Pietro s’incatenasse, e i suoi piè venissero fortemente stretti tra’ ceppi.

            Mentre, separati in tal modo, Marcellino giacea nudo sul suolo del carcere cosparso di rottami di vetro, e Pietro era reso immobile dalle catene che gli solcavano le carni, un Angelo apparì a quel primo, lo rivestì degli abiti che gli aveano strappati di dosso gli sgherri, e gli disse: “Mi segui”, ei, seguendolo, entrò là dove si trovava Pietro, cui parimente sciolse l’Angelo; e li addusse entrambi alla casa dove i battezzati da loro stavan immersi nella orazione. Disse l’Angelo a’ due liberati che sette giorni spendessero a confermare nella fede quella turba, indi si presentassero a Sereno.

            Il dì vegnente chi venne alla prigione, non avendovi trovato Pietro e Marcellino, ne riferì al giudice, il qual tosto chiamati Antemio, Candida, e la figlia Paolina intimò loro di sagrificare. Risposero ad una voce: “Riconosciamo nostro Sinor Gesù Cristo quale figlio di Dio; e perciò non è possibile che ci contaminiamo co’ vostri sagrifizii”. Sereno mandolli ad essere sepolti vivi sotto una frana d’arena lungo la via Aurelia. Mentre venivano colà tradotti, avvenne che s’incontrassero in una moltitudine di cristiani che accorrevano a Pietro e Marcellino: sgherri, e carnefici a quella vista fuggirono, inseguiti da giovani, che li raggiunsero e invitarono con miti discorsi ad ascoltare la parola di Dio: rifiutaronsi, e venner trattenuti quanto bastava per dar tempo a Marcellino di celebrare la Messa; e poiché il rito fu compiuto, Marcellino invitò la turba fedele a sciogliersi; onde rimaso solo con Pietro, in mezzo agli sgherri testé prigionieri, disse a costoro, che non credevano a’ proprii occhi: “Vedete che fu in poter nostro di farvi del male, e nol facemmo: è in poter nostro andarcene, per la Dio grazia, sciolti; e nemmen questo facciamo; che cosa rispondete voi a tuttociò?”.

            Gli sgherri risposero trafiggendo cogli stocchi Antemio, seppellendo sotto la frana Candida, e Paolina, legando ad un albero Marcellino, e Pietro, e lasciandoli là in aspettazione de’ voleri del giudice; i quali furono, che tratti a negro bosco vicino (che oggi, in onore dei Martiri, porta nome di Selva Candida), ad ambo si mozzasse il capo.

            Pietro e Marcellino arrivati in mezzo al macchione, colle proprie mani sgombraronvi l’area dai rovi, indi orarono, diersi il bacio di pace, s’inginocchiarono, e porsero il collo. Il carnefice che li percosse attestò d’aver vedute le loro anime uscire dal corpo simili a vergini adorne d’oro, e di gemme, ammantate di vesti splendidi, che si elevarono a cielo festanti, circondate d’angelici cori.

            A que’ di Lucilla e Firminia, matrone cristiane consanguinee di Tiburzio (la cui nobiltà fu insigne tra’ Senatori in terra, più insigne tra’ Martiri in cielo) per amore del beato Defunto non si dipartivano da suo sepolcro, accanto al quale si erano fatte costruire una casuccia. Comparve loro Tiburzio in compagnia dei tre martiri, e le avvisò che i costoro corpi, toltili alla Selva nera, avesser elle a seppellire accanto al suo; nella qual traslazione le matrone ebbero aiutatori due acoliti della Chiesa Romana.

            Tutti questi particolari Damaso li riseppe, mentr’era giovanissimo, e lettore, dal carnefice stesso che troncò la testa ai martiri: divenuto indi vescovo li commemorò a’ posteri cuoi seguenti versi scolpiti sul loro sepolcro

 

Marcellino, e tu similmente o Pietro, gloriatevi de’ vostri trionfi. Colui che vi percosse di spada raccontò a me Damaso, quando era fanciullo, che il rabbioso giudice commisegli mozzarvi il capo nel fitto della macchia, acciò niuno potesse addarsi dove giacevate sepolti; e voi colle vostre mani apparecchiaste il sito; indi, dopo d’aver posato alcun tempo in quella fossa smaltatasi di candidi fiori, piacque a Lucilla, resa consapevole della vostra pietà, di qui trasferire e tumulare le vostre sante spoglie[1].

 

            Il mozzatore de’ santi capi, per nome Doroteo fece, mentr’era papa San Giulio[2], pubblica penitenza dell’accaduto, raccontandolo a tutti, e venne batezzato in vecchiezza, conseguita misericordia dal Signore, che vive e regna ne’ secoli de’ secoli.

 

Da: Conte TULLIO DANDOLO, Roma Cristiana nei primi secoli, vol. II – Martiri, Assisi 1866, 166-171.
 

I loculi dei martiri Marcellino e Pietro nel cimitero di via Labicana

 

Arca di SS. Marcellino e Pietro, Cremona cattedrale

 

[1] Marcelline tuos pariter Petre nosce triumphos.
Percussor Damaso retulit mihi, cum puer essem,
Haec sibi carnificem validum mandata dedisse:
Sentibus in mediis vestra ut tunc colla secaret
Ne tumulm vestrum quisquam conoscere posset:
Vos alacres vestris minibus mundasse sepulchra:

Candidulo occulto postquam jacuistis in antro,
Postea commonitam vestra pietate Lucinam
Hic placuisse magis santissima condere membra.

[2] † 352.

 

Pagina iniziale