LArchitettura sacra

Un breve scritto per comprendere il valore
del tempio cristiano per il credente

 

La situazione odierna

Viviamo in un tempo in cui si afferma a più riprese che non esiste un’architettura religiosa. L’eminente liturgista Klaus Gamber disse a tal proposito:

«La maggioranza delle costruzioni [religiose] sono concepite in senso puramente utilitario. È stato coscientemente evitato di renderle opere d’arte ma, ciononostante, sono costate molto. Dal punto di vista tecnico non manca loro nulla: hanno una buona acustica e un’areazione perfetta... Ciononostante queste chiese non sono propriamente delle case di Dio, non sono uno spazio sacro, un tempio del Signore nel quale entrare con piacere per adorare Dio e pregarlo. Sono delle sale nelle quali riunirsi dove non si entra che nei momenti in cui si svolgono le ufficiature liturgiche. Altre recenti chiese sono state espressamente ideate come opere d’arte. Il loro modello è la cappella di pellegrinaggio di Ronchamp. Le Corbousier, il celebre architetto che l’ha progettata, era agnostico ed è riuscito a creare un capolavoro d’architettura. Ma questo non ha fatto dell’edificio una chiesa. La costruzione può essere un luogo di preghiera personale che stimola la meditazione ma nulla di più! In seguito, tale modello di Ronchamp fu imitato. Così la costruzione delle chiese si è trasformata in un campo sperimentale nel quale poteva scatenarsi la bizzarria soggettiva degli architetti. Questo si è facilitato dal momento in cui s’è imposto il principio per il quale non esisterebbero ‘spazi sacri’ opposti ad un ‘mondo profano’» [K. Gamber, Zum Herrn hin! Fragen um Kirchenbau und Hinwendung beim Gebet nach Osten].

Non si può negare che quanto viene affermato in questa lunga citazione contenga delle verità che possiamo quotidianamente verificare. Se noi, in questa sezione dedicata all’architettura, facessimo un elenco delle tipologie architettoniche che si possono riscontrare nel mondo ortodosso, non avremo fatto altro che imitare quanto si trova correntemente in qualsiasi buon libro di storia dell’architettura. Anche i migliori testi che trattano dell’architettura religiosa e della particolarità di quella “bizantina” sono, in fondo, piuttosto aridi perché osservano la chiesa e i suoi elementi come se questi non avessero a che fare con la vita degli uomini. Abbiamo così lunghi e dettagliati elenchi dove, con la maggior precisione possibile, si riportano le differenze di stili architettonici nelle varie epoche e nelle diverse regioni geografiche. Ebbene, tutto ciò dal punto di vista strettamente cristiano e ortodosso non serve quasi a nulla.

Con tali criteri asettici non si potrà mai comprendere i profondi motivi per i quali si costruisce una chiesa. Non si capirà, dunque, perché la chiesa è sacra, perché ha una certa disposizione e un certo orientamento.

Chi comincia ad avvicinarsi alla comprensione dell’architettura religiosa in senso ortodosso è Erwin Panofsky. In una sua famosa opera quest’acuto autore esamina il passaggio dallo stile romanico a quello gotico nell’Ile de France in seguito all’insorgere e all’affermarsi della cultura teologica scolastica. Il periodo romanico, nel quale vige la cultura monastica, rispetta il mistero e unisce la teologia alla vita. Le sue chiese, se viste dall’esterno, non fanno indovinare cosa vi sia dentro. Dalle loro piccole finestre penetra poca luce e chi entra nell’edificio si deve abituare poco a poco ad un ambiente raccolto e poco illuminato. Il periodo gotico, viceversa, ha ampie finestre. Dall’esterno si può indovinare la struttura che la chiesa ha nel suo interno. A questa peculiarità architettonica fa pendant la cultura scolastica che vuole illuminare tutto e catalogare con precisione ogni cosa. Nelle nervature dei pilastri, che si slanciano con forza verso l’alto, si indovina tutto lo sforzo intellettuale che l’uomo di quest’epoca compie per inserire in categorie razionali i misteri e la teologia cristiana. Tuttavia lo scopo principale del cristianesimo è quello di essere vissuto, non di essere razionalizzato...

Erwin Panofsky ha suggerito che esiste un intimo legame tra il modo di costruire una chiesa e il modo di pensare e di vivere degli uomini. Non ci deve quindi meravigliare se Klaus Gamber afferma che l’edificio di Ronchamp non è una chiesa. Vivere al di fuori del cristianesimo o in una forma alterata e secolarizzata di cristianesimo produce più o meno gli stessi risultati. Si deve affermare che quanto nasce da artisti e architetti non cristiani potrà essere anche molto interessante, ma non sarà mai espressione del cristianesimo.

Cerchiamo ora di comprendere perché la chiesa, come edificio, sia sacra. La nostra cultura moderna ha perso di vista il concetto di sacro perché ha perso di vista la realtà di Dio e il senso della vita umana. È stata spinta a far ciò anche da sbagliati presupposti teologici che definivano le realtà di fede così asetticamente da far sembrare che la verità non avesse alcuna relazione con gli uomini. In questo senso, il sacro per se stesso, staccato da qualsiasi relazione con i credenti, non ha senso. È puro delirio affermare, dunque, che una realtà creata è sacra per se stessa concependola priva della sua reale relazione con il mondo. Sulla base di questo presupposto si giunge a due contraddittorie conclusioni: ogni cosa è sacra; nulla è sacro.

Come l’oggettività, per essere eloquente, ha bisogno d’essere colta dal soggetto e quindi deve essere soggettivizzata, così il sacro ha il suo senso quando è posto in relazione con la persona, quando interagisce con il credente.

Concepire lo spazio sacro della chiesa come qualcosa di estetico (cosa usuale in Occidente) significa non aver capito niente. La chiesa non è importante o sacra perché è bella, comoda e funzionale. Che differenza ci sarebbe, allora, tra l’edificio religioso e una sala polifunzionale? Nessuna! Infatti non è un caso che molte chiese occidentali assomiglino a sale polifunzionali! A monte di tali costruzioni esiste, dunque, un concetto annebbiato di cristianesimo e, forse, un cristianesimo che ha perso il senso della propria Tradizione.

 

La chiesa: un luogo simbolico

Per la Tradizione ogni realtà della Chiesa è legata al credente ed è in servizio del suo progresso spirituale. L’edificio della chiesa ha, così, un valore sacro perché racchiude in sé un universo simbolico.

Il credente che si affaccia all’interno di un’antica basilica si trova davanti ad una prospettiva, davanti ad un cammino con una meta: l’abside e il santuario. La parte iniziale della chiesa simboleggia lo stadio esistenziale di chi si avvicina per la prima volta al cristianesimo. Chi attendeva di essere battezzato sostava nell’area accanto alla porta d’ingresso. Tutta l’area interna simboleggia il cammino nella fede del credente. Il santuario, luogo dov’è posto l’altare e si celebra l’Eucarestia, rappresenta il luogo della visione, il luogo in cui la luce di Dio giunge agli uomini per illuminarli. Così non desta meraviglia che la maggioranza delle chiese antiche siano rivolte con l’abside a est, luogo dove sorge il sole. Ancora oggi, al momento in cui entra la luce solare attraverso le finestre absidali, in ogni monastero del Monte Athos (Grecia) si canta l’inno di lode che precede immediatamente la liturgia: “Gloria a te che dai la luce...”. E la luce vera che illumina gli uomini è la presenza di Dio e del suo Regno presente: “Ecco io sarò con voi fino alla fine del mondo”. Perciò la liturgia inizia con le parole: “Benedetto il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo...”.

Gli elementi cosmici si uniscono a quelli simbolici ed entrambi si collegano alla situazione personale del credente. Nell’edificio ecclesiastico, quindi, il credente ritrova se stesso davanti a Dio. La sacralità della chiesa è, allora, indice e rimando della sacralità della persona umana poiché Dio si rivela nei cuori degli uomini ed è lì che essi devono imparare a scoprirlo. La distruzione del significato dei simboli, il soggettivismo sfrenato nelle questioni di fede, il sentimentalismo e l’intellettualismo hanno finito per privare del suo profondo senso la fede cristiana senza farle alcuna lotta esterna. L’architettura religiosa odierna eredita, in Occidente, questa critica situazione.

Il senso del sacro che ha la chiesa deriva, inoltre, da qualcos’altro. Per l’Ortodossia Dio ha un aspetto inconoscibile e impartecipabile (la sostanza) e un aspetto conoscibile (l’energia). Attraverso l’energia Dio si diffonde e si fa conoscere. L’energia divina, sempre increata, si diversifica a seconda dei suoi effetti. L’energia santificante (la Grazia) è una tra le tante. Il suo effetto consiste nel divinizzare l’uomo. Esiste pure l’energia con la quale Dio mantiene in vita e conserva il cosmo. Ogni cosa, dunque, partecipa di Dio ma in maniera differente. Un luogo nel quale è avvenuta una teofania (un’apparizione divina) è detto, a ragione, sacro. La chiesa nella quale vengono amministrati i sacramenti e si dona la Grazia divina increata, in cui abitualmente si invoca l’aiuto di Dio e si celebra la liturgia, non può essere considerata un luogo profano. La sua particolare funzione è stata stabilita il giorno in cui l’edificio è stato consacrato benedicendolo e ungendolo con il sacro myron (crisma).

La sacralità del luogo, oltre a rimandare alla sacralità della persona, rimanda, dunque, a un modo d’intendere Dio. Se Dio viene inteso come un essere impartecipabile (è il caso della classica teologia cattolico-romana dove Dio è una sostanza impartecipabile e la grazia che Lui darebbe è solo una realtà creata) i motivi in base ai quali si dichiara sacro un luogo sono piuttosto labili. Non fa meraviglia che ci sia chi afferma che nulla è sacro. Si comprende, allora, altrettanto bene la costruzione di chiese che materializzano tali concetti secolarizzati.

San Simeone di Salonicco (XV sec.) si è soffermato a descrivere il mondo simbolico racchiuso nel tempio cristiano. Nel suo scritto si riscontra quanto abbiamo sopra delineato: il sacro edificio è lo specchio dell’interiorità dell’uomo e del mistero di Dio.

«Il tempio (naos), sebbene sia composto da pietre, legno e altri materiali, contiene una grazia soprannaturale. Una volta che viene consacrato da un vescovo tramite mistiche preghiere e unto col santo myron, diviene veramente dimora di Dio. Come tale, non è totalmente accessibile a chiunque.

Il tempio ha una doppia natura, avendo un luogo per l’altare e un luogo esterno ad esso. In questo modo rappresenta Cristo, che è sia Dio che uomo, che ha una natura visibile e un’altra invisibile. Il tempio rappresenta pure l’uomo composto di anima e di corpo. Inoltre, esso rappresenta soprattutto l’eccellente mistero della Santissima Trinità, inaccessibile nella sua essenza, ma nota nella sua provvidenza e nei suoi poteri, rivelando, similmente, il mondo delle cose visibili e di quelle invisibili. Quello stesso mondo visibile ed invisibile è rivelato solo dal tempio divino col sacro vima (altare) posto a rappresentare i misteri inaccessibili, e le altre sue parti poste a rappresentare quelli accessibili.

Il tempio divino è visto pure come triadico: l’area precedente alla navata, la navata e il sacro vima sono tre aree che stanno a rappresentare la Santa Trinità e gli ordini angelici divisi in tre schiere. Inoltre queste aree rappresentano anche i tre differenti gradi di pietà degli uomini: quello dei sacerdoti, quello dei fedeli giunti a perfezione e quello di coloro che iniziano il loro cammino cristiano con il pentimento. La divisione tripartita del tempio insegna le cose riguardanti la terra, il cielo e ciò che è al di là del cielo; l’area precedente la navata riguarda la terra, la navata riguarda il cielo mentre il santissimo vima insegna le cose che riguadano tutto ciò che è al di sopra del cielo».

(Sul tempio divino, cap. 2)
 

La chiesa: un luogo sacro
 

L’architettura di una chiesa ortodossa risponde essenzialmente ai bisogni liturgici. Ciò che la caratterizza è la presenza dell’altare sul quale si celebra il mistero dell’Eucarestia, vertice di tutta la Liturgia, nel quale il pane e il vino divengono Corpo e Sangue di Cristo.

L’altare è come la tomba nella quale si manifestò la Resurrezione del Corpo di Cristo. Lo spazio attorno ad esso, il Santuario o Vima, è racchiuso da una parete che sorregge alcune icone: l’iconostasi. Nella parte centrale dell’iconostasi si situa una porta con due battenti che si affaccia direttamente sull’altare. Sui due lati della porta si trovano delle icone: a destra quella di Cristo, a sinistra quella della Theotokos (= Genitrice di Dio). Tale porta può essere superata solo dai celebranti. Similmente, possono entrare nel santuario solo coloro che compiono il servizio liturgico. La disposizione descritta caratterizza tutte le chiese ortodosse anche se il luogo di culto fosse un locale improvvisato.

A destra dell’altare è disposta una tavola di piccole dimensioni per la preparazione dei Santi Doni: la protesi. Prima della celebrazione della Divina Liturgia il calice e la patena (disco sul quale si appoggia il Santo Pane durante la celebrazione) sono disposti sulla protesi. Il celebrante riempie il calice di vino e d’acqua e taglia, da un piccolo pane predisposto, il pezzo che sarà consacrato appoggiandolo sulla patena. Al momento dell’offertorio, durante la celebrazione dell’Eucarestia, il calice e la patena (il disco) sono recati solennemente in processione con un percorso che parte dalla protesi e termina all’altare. I celebranti escono dal santuario attraverso una porta laterale, arrivano al centro della chiesa e poi ritornano verso il Santuario entrando per la porta centrale. Nella parte destra del Santuario si trova il Diakonikon, luogo simile ad una sacristia nel quale vengono assunti o deposti i paramenti sacri e gli oggetti liturgici.

Al di fuori del santuario, i fedeli e il coro dei cantori stanno nella navata. È sempre in essa che viene distribuita la comunione. È pure in tal luogo che si celebra la maggioranza dei Sacramenti, ad eccezione di quello dell’Ordine (che avviene all’altare) e di quello dell’unzione dei malati (che si può fare pure in una casa o in un ospedale).

Il nartece è un vestibolo tra la navata e l’esterno della chiesa. In esso stanno i penitenti e un tempo i catecumeni. I monaci che, prima di tutto sono dei penitenti, vi recitano degli uffici liturgici tipicamente monastici. Durante alcune solenni ufficiature liturgiche vi si pronuncia una grande preghiera detta liti per i bisogni del mondo intero e per preservarlo dalle calamità e dalle catastrofi naturali. Infine, all’esterno, si trova un peristilio, una sorta di sagrato con, a volte, una fontana. Queste due parti, il nartece e il peristilio, si trovano normalmente nelle chiese. Invece, quando ci si trova davanti ad un semplice locale adattato per la celebrazione, generalmente ci si accontenta di tenere l’iconostasi e la navata.

Nella costruzione di una chiesa, la sua altezza deve sempre rispettare armonicamente la sua pianta in maniera che le proporzioni siano gradevoli alla percezione umana affinché egli possa sentirsi bene come a casa sua ispirandogli pure un senso di elevazione dello spirito. L’armonia delle proporzioni crea un senso di pace e di ben essere qualsiasi sia la grandezza dell’edificio. Così la chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli, uno tra i più meravigliosi esempi di architettura religiosa ortodossa oltre che una delle più grandi basiliche della cristianità, non crea alcun senso di schiacciamento come lo infondono molte cattedrali gotiche. La cupola emisferica di questa basilica avvolge lo spazio interno riproducendo l’armonia del cosmo sintetizzata nella chiesa.

Questa cupola (trullo) si trova nella maggior parte delle chiese ortodosse e sovrasta la navata. Vi è dipinto un Cristo Pantocrator, ossia, “sovrano dell’universo”. La maggior parte delle pareti sono ornate e dipinte con affreschi seguendo la stessa tecnica pittorica delle icone; essi rappresentano scene tratte dalla vita di Cristo e immagini di santi. Il fedele si trova in tal modo circondato da una folla di testimoni della fede. Questa onnipresenza della santità e del mistero dell’opera di Cristo ha l’immenso vantaggio di creare, per la sua stessa profusione, un clima psicologico particolarmente propizio alla preghiera e alla pace interiore. Inoltre i colori utilizzati per questi affreschi uniti a giochi di luci particolarmente studiati nella costruzione dell’edificio, contribuiscono anch’essi a creare un’inesprimibile ambientazione per la liturgia ortodossa.

Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/belleartipatr.htm

 

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