L. Ouspensky

Andrej Rublëv


da: Contacts, N° 32, 1960

 

Nel settembre del 1960, in Russia, è stato commemorato solennemente il 6° centenario del grande iconografo Andrej Rublëv. Dal 15 al 21 di quel mese, al Teatro del Cremlino e all’Accademia si sono svolti incontri di studio che hanno analizzato l’arte di Rublëv e del suo tempo e sono state organizzate visite ai luoghi dove si è svolta la sua attività. A Mosca, alla Galleria Tret’jakov gli è stata dedicata una mostra, e nell’antico monastero Sant’Andronico, è stato aperto un museo A. Rublëv. Numerose monografie, davvero oneste, sono venute a completare la sua bibliografia; i periodici di Mosca hanno pubblicato tutta una serie di articoli dedicati a lui ed è stato girato un film scientifico e popolare sulla sua opera. Questi studi si collocano in una prospettiva che, sicuramente, non rende conto della dimensione spirituale di un’opera che gli ha valso la canonizzazione tra i “santi iconografi” dell’Ortodossia, ciononostante la mettono in luce ed involontariamente (e talora anche volutamente) diffondono la sua testimonianza spirituale.

Rublëv è conosciuto in Occidente soprattutto per la sua celebre icona della Trinità riprodotta in quasi tutte le opere che trattano di Ortodossia o di cultura russa. Ma oggi, grazie all’immenso lavoro dei restauratori russi, conosciamo molte altre pitture di A. Rublëv.

L’uomo rimane molto nascosto. Non si conosce dove è nato e la sua nascita viene collocata approssimativamente tra il 1360 e il 1370. Si sa che, a Mosca, fu monaco al monastero Sant’Andronico. L’inizio della sua attività è legato al primo sviluppo del monastero della Trinità, fondato da San Sergio di Radonez. Sicuramente, fece il suo apprendistato nel laboratorio di icone di quel monastero, perché spesso infatti viene citato col soprannome “l’iconografo di Radonez”. I Racconti sui santi iconografi riferiscono: “il santo Padre Andrej di Radonez, iconografo, di cognome Rublëv, dipinge un gran numero di icone, tutte miracolose…”.

Rublëv visse in un’epoca tumultuosa della storia russa. La vittoria sui Tartari, nel 1380, a Koulikovo, aveva esaltato le forze del popolo russo che ora poteva sperare sulla liberazione definitiva. Fu quella l’epoca di un grande sviluppo della coscienza nazionale e del decisivo progresso dell’unità attorno a Mosca. Fu anche il tempo dell’età aurea della santità russa, il momento in cui il monachesimo, in tutte le sue forme, conobbe una splendida rinascita, in cui la cultura e l’arte si diffusero attorno ai monasteri. Fu, per dirla in breve, l’epoca di san Sergio di Radonez, perché illuminata realmente dalla santità particolare di Sergio, dal suo stile personale di spiritualità. La si potrebbe definire come la forma russa della grande corrente mistica ortodossa, nota col nome di esicasmo.

San Sergio appartenne al secolo di San Gregorio Palamas, la cui lotta ed insegnamento sulla luce increata del Tabor consentirono la definizione dogmatica delle energie divine che santificano l’uomo. La vita di San Sergio fu interamente votata alla Santa Trinità, oggetto della sua contemplazione, fonte della sua vita interiore così come del suo servizio tra gli uomini. Nella sua persona egli realizzò “la pace che va oltre ogni intelligenza” e fece risplendere quella pace attorno a lui. Egli dedicò la sua chiesa alla Trinità e si sforzò di realizzare ovunque l’unità dell’immagine della Trinità, a cominciare dalla sua comunità fino alla vita politica russa del suo tempo. Per facilitare l’unità del paese, riconciliò i príncipi feudali nemici; benedisse il principe di Mosca Dimitri nella sua lotta contro i Tartari. Alla sua morte, divenne per il popolo cristiano di Russia il protettore celeste della patria. San Sergio morì il 25 settembre 1392. Lasciava nella Chiesa Russa un gran numero di discepoli.

Andrea Rublëv, il più giovane dei suoi discepoli, sicuramente lo conobbe personalmente. Comunque, visse costantemente in contatto coi discepoli diretti del grande santo, di coloro che continuavano la sua opera e mettevano in pratica i suoi insegnamenti sino all’estremo: l’umiltà, l’amore, il disinteresse e la solitudine contemplativa, orientata alla purificazione dello spirito e all’unione con Dio nella preghiera continua. Al centro di questa spiritualità c’è l’amore – inscindibilmente virtù dell’uomo e partecipazione alla grazia increata -, l’amore per Dio e per il prossimo.

Nelle fonti più antiche, A. Rublëv e Daniele, l’amico suo più grande di lui di qualche anno, suo “compagno di penitenza”, soprannominato “il Negro”, con il quale collaborava, vengono caratterizzati come “uomini perfetti in virtù”; Rublëv è descritto come molto umile, “pieno di gioia e di luminosità”. Tutta la sua arte del resto è improntata all’immagine di questa umiltà, è piena di gioia e di luminosità. La sua pittura possiede una straordinaria profondità di contenuto, ma allo stesso tempo, per la gioia, la leggerezza, la pace imperturbabile, per il fervore, è quasi infantile.

Le cronache citano per la prima volta il nome di Rublëv nel 1405, quando, a Mosca, fu decorata la cattedrale dell’Annunciazione al Cremlino. Vi partecipa insieme ad una squadra di pittori, diretta dal celebre Teofane il Greco. Malgrado l’immensa influenza di quest’ultimo sull’arte russa dell’epoca e la sua meritata ed incontestata autorità, tuttavia, Rublëv non seguì l’esempio di Teofane, ma la sua via, ispirata dall’ambiente spirituale di San Sergio. Al contrario di Teofane, il cui colorito appare come “attenuato”, i colori di Rublëv sono luminosi, gioiosi e chiari. Ha più leggerezza, scioltezza, calore. Nelle sue opere l’accento non poggia sul pesante travaglio della vita ascetica, bensì sulla gioia la cui grazia viene a coronarlo. “Prendete il mio giogo su di voi e seguitemi, il mio cuore è dolce ed umile, le vostre anime ne avranno sollievo. Il mio giogo infatti è dolce e il mio fardello è leggero” (Matteo 11, 28-30): questo è il principio della vita e dell’arte di Rublëv, la sua opera ne è testimone.

 Nei giorni festivi, quando non dipingevano, Rublëv e il suo amico Daniele “si sedevano davanti alle venerabili e divine icone e, guardandole senza distrarsi..., innalzavano costantemente lo spirito ed il pensiero nella luce immateriale e divina”. Quella luce, alla cui contemplazione si abbandonava, Rublëv seppe manifestarla e trasmettere nella sua arte, in modo particolare e con forza incomparabile nell’icona della Trinità.

(Foto tratta dal film A. Rublëv (1966) di A. Tarkovsky)
 

Attraverso l’eredità bizantina, studiando antiche icone, con grande perspicacia, invero, egli aveva trovato i fondamenti dell’arte antica. Ecco cosa scrive a riguardo lo storico dell’arte M. Alpatov: “In quel tempo, in nessun altro paese d’Europa, neppure in Italia, si sentivano così profondamente i principi della composizione greca come li interpretava A. Rublëv che li incarnò nelle sue opere. Nell’iconografia russa, la pittura di Rublëv rappresenta la manifestazione più impressionante del retaggio dell’Antichità, l’interpretazione e l’utilizzazione degli stessi princípi classici di ordine e di armonia. Qui rinasce, trasfigurata, tutta la bellezza dell’arte greca antica, rinnovata e insieme autenticata. La pittura di Rublëv si distingue per freschezza giovanile, quasi infantile, per il senso della misura, la perfetta sintonia dei colori, il ritmo, o meglio l’ «euritmia», la musicalità delle linee”.

Nel 1408, a Vladimir, insieme con Daniele, A. Rublëv decora la cattedrale dell’Assunzione. Poco dopo il 1422, l’amatissimo discepolo di san Sergio, l’egumeno Nikon lo chiama al monastero della Trinità di San Sergio per decorare la nuova chiesa della Trinità, costruita al posto della chiesa originaria che era stata bruciata dai Tartari. Però Andrej trascorse molti anni soprattutto al monastero Sant’Andronico, fondato dal metropolita di Mosca sant’Alessio. Negli anni venti del XV secolo, partecipa alla costruzione della chiesa della Trasfigurazione, interessandosi ai piani, contribuendo alle spese di costruzione. Lì morì il 9 gennaio 1430. Non si conosce più il luogo dove fu sepolto: la sua tomba esisteva ancora nel XVIII secolo, poi scomparve.

Nell’arte liturgica della Chiesa ortodossa, l’opera di Rublëv manifesta attraverso l’immagine la santità e l’eredità spirituale di S. Sergio di Radonez, la pace interiore che lo contraddistingueva e si propagava in tutti i suoi campi di attività, quell’unità di amore all’immagine della Trinità divina la cui espressione artistica suprema resta la celebre icona della Santa Trinità. Rublëv la dipinse proprio a gloria di san Sergio e per la sua Chiesa. In un inventario di pitture della Laura della Trinità di San Sergio, nel 1920, G. A. Olsoufiev descriveva così questa icona: “Si può dire che essa non ha uguali, per la sintesi perfetta di una concezione teologica sublime col simbolismo artistico che l’esprime attraverso la struttura dei ritmi e delle linee, dei colori e di una plasticità che va al di là. Questa icona è ontologica per eccellenza, non solo nella sua concezione, ma anche in tutti i suoi dettagli”.

La profondità spirituale della visione di sant’Andrej trovò la sua espressione attraverso la grazia di un dono artistico eccezionale. L’Icona della Trinità, dove culmina la sua opera rimane, sia dal punto di vista artistico che teologico, l’acme dell’arte ortodossa.
 

Traduzione dal francese del prof. G. M.
agosto 2006

 

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