La Festa di Pentecoste

 

del rev. padre A. Schmemann

 

 

 

50 GIORNI DOPO LA PASQUA

 

Nell’annuale ciclo liturgico della Chiesa, la Pentecoste è “l’ultimo e grande giorno”. È la celebrazione da parte della Chiesa della venuta del Santo Spirito come la fine – la realizzazione e il compimento – di tutta la storia della salvezza. Per lo stesso motivo, tuttavia, è anche la Celebrazione dell’inizio: è il “compleanno” della Chiesa come presenza in mezzo a noi del Santo Spirito, della vita nuova in Cristo, della grazia, delle conoscenze, dell’adozione di Dio e della santità.

Questo duplice significato e la duplice gioia ci viene rivelato, prima di tutto, nel nome della festa. Pentecoste in greco significa cinquanta, e nel sacro simbolismo biblico del numero, il numero cinquanta simboleggia sia la pienezza del tempo che ciò che è al di là del tempo: il Regno di Dio stesso. Essa simboleggia la pienezza del tempo dalla sua prima componente: 49, che è la pienezza del sette (7 x 7): il numero del tempo. E, simboleggia ciò che è al di là del tempo con la seconda componente: 49 + 1, questo è il nuovo giorno, il “giorno senza tramonto” del Regno eterno di Dio. Con la discesa del Santo Spirito sopra i discepoli di Cristo, il tempo della salvezza, la divina opera di redenzione è stata completata, la pienezza è stata rivelata, tutti i doni concessi: sta a noi ora “appropriarci” di questi doni, essere ciò che siamo diventati in Cristo: partecipi e cittadini del suo Regno.

 

 

LA VEGLIA DI PENTECOSTE

 

Il servizio della vigilia notturna, comincia con un solenne invito:

 

“Dobbiamo celebrare la Pentecoste, la venuta del Santo Spirito,

il giorno stabilito della promessa, e il compimento della speranza,

il mistero che è tanto grande quanto è prezioso”.

 

Nella venuta dello Spirito, la vera essenza della Chiesa è rivelata:

 

“Il Santo Spirito offre tutto,

inonda con la profezia, adempie il sacerdozio,

ha insegnato la sapienza agli illetterati,

ha rivelato i pescatori come teologi,

Egli riunisce tutto il concilio della Chiesa”.

 

Nelle tre letture del Vecchio Testamento (Numeri 11:16-17, 24-29; Gioele 2:23-32; Ezechiele 36:24-28) ascoltiamo le profezie concernenti il Santo Spirito. Apprendiamo che l’intera storia dell’uomo era orientata verso il giorno in cui Dio “avrebbe riversato il Suo Spirito su ogni carne”. Questo giorno è arrivato! Tutte le speranze, tutte le promesse, tutte le attese sono state compiute. Alla fine degli inni Aposticha, per la prima volta dopo la Pasqua, si canta l’inno: “Re celeste, Consolatore, Spirito di verità...”, quello con cui apriamo tutti i nostri servizi, tutte le preghiere, che è, come dire, il soffio vitale della Chiesa, e la cui venuta a noi, la cui “discesa” su di noi in questa Veglia di festa, è stata infatti la stessa esperienza del Santo Spirito “veniente e dimorante in noi”.

Dopo aver raggiunto il suo culmine, la Veglia continua come un’esplosione di gioia e di luce perché “veramente la luce del Consolatore è arrivata e ha illuminato il mondo”. Nella lettura dell’Evangelo (Giovanni 20:19-23) la festa viene interpretata da noi come la festa della Chiesa, della divina sua natura, potere ed autorità. Il Signore manda i suoi discepoli nel mondo, come Egli stesso è stato inviato dal Padre. Più tardi, nelle antifone della liturgia, annunciamo l’universalità della predicazione degli Apostoli, il significato cosmico della festa, la santificazione di tutto il mondo, la vera manifestazione del Regno di Dio.

 

 

I VESPRI DI PENTECOSTE

 

La peculiarità liturgica molto speciale della Pentecoste sono i Vespri del giorno stesso. Normalmente questo servizio segue immediatamente la Divina Liturgia, è “aggiunto” ad esso, come il proprio compimento. Il servizio inizia come un solenne “riepilogo” di tutta la celebrazione, in quanto sua sintesi liturgica. I fiori che teniamo tra le nostre mani simboleggiano la gioia di eterna primavera, inaugurata dalla venuta del Santo Spirito. Dopo la festa d’Ingresso, questa gioia raggiunge il suo culmine nel canto del Grande Prokeimenon:

 

“Quale Dio è grande come il nostro Dio?”

 

Poi, dopo aver raggiunto questo culmine, siamo invitati a inginocchiarci. Questo è il nostro primo inginocchiarci da Pasqua. Esso significa che, dopo questi cinquanta giorni di gioia pasquale e di pienezza, di vivere il Regno di Dio, Ora la Chiesa sta per iniziare il suo pellegrinaggio attraverso il tempo e la storia. È sera, ancora una volta, e la notte si appressa, durante la quale tentazioni e fallimenti ci attendono, quando, più di ogni altra cosa, abbiamo bisogno dell’aiuto divino, la presenza e la potenza del Santo Spirito, che già ci ha rivelato il lieto fine, ora ci aiuterà nel nostro sforzo verso il compimento e la salvezza.

Tutto questo è rivelato nelle tre preghiere che il celebrante recita ora inginocchiato come noi tutti ad ascoltarlo. Nella prima preghiera, portiamo a Dio il nostro pentimento, il nostro crescente appello per il perdono dei peccati, la prima condizione per entrare nel Regno di Dio.

Nella seconda preghiera, chiediamo al Santo Spirito di aiutarci, di insegnarci a pregare ed a seguire il vero cammino nel buio e nella difficile notte della nostra esistenza terrena. Infine, nella terza preghiera, ricordiamo tutti coloro che hanno compiuto il loro cammino terreno, ma che sono uniti con noi nell’eterno Dio di Amore.

La gioia della Pasqua è stata completata e si deve attendere ancora per l’alba del giorno eterno. Ma, conoscendo la nostra debolezza, umiliando noi stessi inginocchiandoci, conosciamo anche la gioia e la potenza del Santo Spirito che è venuto. Sappiamo che Dio è con noi, che in Lui è la nostra vittoria.

In tal modo è completata la festa della Pentecoste e si entra nel “tempo ordinario” dell’anno. Eppure, ogni Domenica ora sarà chiamata “dopo Pentecoste” – e questo significa che è dalla forza e dalla luce di questi cinquanta giorni che dobbiamo ricevere la nostra forza, il divino aiuto nella nostra lotta quotidiana. A Pentecoste si decorano le nostre chiese con fiori e rami verdi – perché la Chiesa “non invecchia mai di età, ma è sempre giovane”. È un albero sempreverde, sempre vivo di grazia e di vita, di gioia e di conforto. Perché il Santo Spirito – “Tesoro di Bene e datore di vita” – viene e rimane in noi, e ci purifica da tutte le impurità, e riempie di senso la nostra vita, l’amore, la fede e la speranza.

 

padre Alexander Schmemann (1974)

 

Tradotto per © Tradizione Cristiana da E. M.
Giugno 2009

 

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