La forza della Chiesa
proviene dalla grazia dello Spirito Santo

Intervista a S.S. il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I

 

“La struttura dell’animo umano continua a restare invariabile e soltanto la grazia di Dio “cambia” e “rinnova” l’uomo. Quindi ciò che occorre è il “dimorare” della grazia divina in noi, e non una qualche conquista ecclesiastica personale, morale o collettiva”. Incontro con il patriarca ecumenico di Costantinopoli.

di Gianni Valente

Si sta per aprire un periodo movimentato per i rapporti tra la Chiesa cattolica e la comunione delle Chiese ortodosse. I prossimi viaggi papali in Grecia e in Ucraina hanno acceso gli animi fin dal loro primo annuncio e il prossimo concistoro convocato da Giovanni Paolo II per i prossimi 21 e 22 maggio avrà all’ordine del giorno anche la ricerca di modalità di esercizio del primato petrino che possano essere sottoposte all’attenzione dei fratelli delle Chiese d’Oriente come contributo per avanzare sul cammino dell’unità.

Sua santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, massima autorità dell’intera Ortodossia, nell’intervista che segue risponde con la consueta cristiana libertà alle tante, impegnative sollecitazioni provenienti da Oltretevere. E non mancano le sorprese.

Per i rapporti tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, l’anno del Giubileo è stato un tempo propizio?

BARTOLOMEO I: Noi abbiamo proclamato il duemila come anno di penitenza e abbiamo vissuto le celebrazioni in modo prettamente spirituale, fissando un giorno di veglia e preghiera liturgica (5-6 agosto 2000). Il cuore intorno al quale ruotavano tutte le celebrazioni era ed è la divina Eucaristia. Questo è un segno efficace, anche se la sua azione è invisibile, come l’azione dell’acqua, che abbevera le radici della pianta e coopera al suo sviluppo insieme al sole e all’aria. Questa preghiera liturgica ed il pentimento costituiscono la base dalla quale può provenire l’avvicinamento sostanziale delle Chiese ortodossa orientale e romano-cattolica occidentale. I rapporti sociali, naturalmente lodevoli e benvenuti, non toccano il cuore del problema, e perciò non possono ristabilire la comunione spirituale. Contribuiscono alla creazione di un clima positivo, e questo è utile, ma non è sufficiente. Ad ogni modo, per diverse ragioni, neanche a questo livello puramente umano dei rapporti sociali è stato conseguito un progresso nelle relazioni tra Oriente ed Occidente.

Il nuovo anno (e il nuovo millennio) iniziano subito con un passaggio delicato nei rapporti tra i vertici della Chiesa cattolica e il mondo ortodosso. La prossima visita del Papa in Grecia viene contestata da diversi settori della Chiesa ortodossa locale. Eminenti voci ortodosse hanno anche richiesto di rinviare la visita papale in Ucraina prevista per giugno. Secondo Sua Santità, qual è il modo più saggio per affrontare questa situazione?

BARTOLOMEO I: Crediamo che la Chiesa occidentale debba mostrare maggiore comprensione verso la sensibilità dei popoli ortodossi, perché una visita realizzata senza il consenso popolare allarga la frattura invece di risanarla.

Se alla fine la visita del Papa in Ucraina dovesse compiersi senza il consenso e addirittura con l’ostilità della Chiesa maggioritaria del Paese, quali conseguenze potrebbe avere sul cammino verso l’unità tra cattolici e ortodossi?

BARTOLOMEO I: Abbiamo già risposto che la conseguenza sarà negativa.

L’Ortodossia in Ucraina vive da anni forti tensioni. Alcuni si augurano anche un intervento del Patriarcato ecumenico nell’intricata situazione. Un suo eventuale intervento, da quali criteri sarebbe ispirato e a quali obiettivi sarebbe rivolto?

BARTOLOMEO I: Il Patriarcato ecumenico e noi personalmente non pensiamo ad un intervento lì. Offriamo i nostri buoni uffici di conciliazione, per il risanamento di una situazione spiacevole, come “servi di tutti”, secondo la parola evangelica. Abbiamo il dovere di fare ciò sia in virtù della missione speciale che il Patriarcato ecumenico è chiamato a compiere tra gli ortodossi, sia come fratelli cristiani che soffrono per le difficoltà che affronta una Chiesa ortodossa locale. Sono totalmente prive di fondamento le voci fatte circolare al riguardo da alcuni, che ci accusano di una intenzione espansionistica rispetto a questa situazione. La nostra disposizione è “di servo” e “di fratello”, di aiuto e non di dominazione.

Da più di dieci anni, dopo la fine dei regimi comunisti nell’Est europeo, si ripete che la “questione uniate” è la causa principale dello stallo dei rapporti tra Chiesa cattolica e buona parte dell’Ortodossia. Ma è davvero così? Dopo tutto il tempo trascorso, i problemi sorti con la rinascita delle comunità greco-cattoliche nei Paesi dell’Est sono davvero ancora così gravi?

BARTOLOMEO I: La risposta può venire solo da chi è in condizione di condurre un’indagine imparziale. Da quanto sappiamo, sembra che il problema esista non soltanto a livello teologico ed ecclesiologico, ma anche a livello psicologico. L’uniatismo viene avvertito dagli ortodossi come una illecita e coperta infiltrazione espansionistica della Chiesa romano-cattolica nello spazio dei popoli ortodossi. Non conosciamo fatti che convincano del contrario.

Più di dieci anni fa, prima che tutto si arenasse, il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi stava per prendere in esame le modalità di esercizio del primato del Papa. È realistico attendersi che l’agenda del dialogo teologico torni ad affrontare questioni importanti come quella del primato? Oppure si tratta di convegni celebrati ormai solo per “cortesia ecumenica”?

BARTOLOMEO I: Per essere precisi, il problema non riguarda “i modi di esercizio del primato del papa”, ma la sostanziale divergenza circa il fondamento stesso del primato. Noi ortodossi non riconosciamo alcun “primato di potere”, ma soltanto un primato di onore “inter pares”, al quale attribuiamo anche alcune competenze principalmente di carattere procedurale. Non è possibile che questo primato di “servizio” sia riconosciuto al papa, se non viene prima l’unità delle Chiese nella fede della Chiesa indivisa. Quindi il primato, così come è stato formulato in Occidente, costituisce uno dei punti di disaccordo, ma questo non vuol dire che se sarà riscontrata una percezione comunemente condivisa riguardo ad esso, ne conseguirà l’unione delle Chiese. Purtroppo sono tante le cose che dividono le Chiese e l’esame di tali cose, che è già cominciato (dopo esser stato preceduto dal dialogo, più semplice, sulle cose che le uniscono), mostra la difficoltà dell’opera che deve essere portata avanti.

Uno dei punti che ci dividono è anche la questione dell’uniatismo, che nella vostra domanda è valutata meno importante di quella del primato. I punti che in merito erano stati accolti con estrema condiscendenza dalla delegazione ortodossa a Balamand sono stati disattesi dalla parte romano-cattolica, e la maggioranza delle Chiese ortodosse non li ha accettati. Le posizioni che poi sono state sottoscritte da ambedue le delegazioni ad Ariccia presso Roma non hanno avuto divulgazione ampia e non sono state recepite dal vertice della Chiesa romano-cattolica. Di conseguenza il successivo incontro a Baltimora non ha sortito alcun effetto.

Se la Chiesa romano-cattolica vuole la sua unione con quella ortodossa, deve porsi la domanda su quale sia alla fine la necessità dell’uniatismo, e darsi una risposta. E lecito che tra due Chiese che condividono la stessa fede una mantenga un proprio gregge separato all’interno dei confini territoriali dell’altra? Sicuramente no. Di conseguenza l’uniatismo denota una attitudine alla “subordinazione” della Chiesa ortodossa, con la sottrazione del suo gregge, piuttosto che una attitudine di “unione” di Chiese uguali. Allora, è naturale che la Chiesa ortodossa reagisca a questo “assorbimento” del suo popolo, osservando come tutto ciò ha la stessa radice del “primato”, ossia la radice del “potere”, che ha sostituito il principio evangelico della “diaconia”.

Ci auguriamo con tutto il cuore e speriamo che la grazia di Dio suggerirà cose buone ai cuori degli uomini, così da poter sperimentare anche in questa situazione che “ciò che è impossibile per gli uomini, è possibile per Dio”. Così potrà avvenire un rischiaramento nella percezione delle cose, in modo tale che la verità evangelica “sarà conosciuta” nella misura in cui libererà tutti dagli irrigidimenti ideologici che hanno nutrito la divisione per mille anni.

A detta di alcuni, nel suo lungo e intenso ministero, Giovanni Paolo Il sembra aver esteso le prerogative del papato. Alcuni osservatori parlano di “super-pontificato wojtyliano”. In che modo questa immagine del papato può condizionare i rapporti con le Chiese ortodosse in una eventuale discussione per trovare un punto comune sull’esercizio del primato petrino?

BARTOLOMEO I: Non consideriamo “il primato di Pietro” come un dato acquisito. Di conseguenza il tentativo volto a stabilire un punto di consenso riguardo alle forme del suo esercizio, come domandate, non trova la nostra approvazione, e addirittura rafforza i timori degli ortodossi circa le intenzioni ultime del cattolicesimo romano e allontana le speranze di intesa.

Quale immagine del primato esercitato dal papa potrebbe favorire i passi verso l’unità dei cristiani?

BARTOLOMEO I: La percezione ortodossa circa il primato come primato d’onore “inter pares” e come primato di servizio, derivante dal suo titolo di primate dell’ex capitale dell’ex Impero romano.

Qualche anno fa, in un suo discorso tenuto in Svizzera, lei spiegò che il modello ecclesiale sinodale tipico dell’Ortodossia garantiva con maggior sicurezza la fedeltà alla Tradizione e alla semplice fede degli apostoli rispetto al modello accentrato tipico della Chiesa cattolica...

BARTOLOMEO I: Il Signore non ha designato un apostolo come capo sugli altri. Quando ha detto a Pietro che “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, si riferiva alla sua fede e non a Pietro come persona fisica. Chi ha la stessa fede di Pietro è uguale a lui. A tutti gli apostoli, dopo la discesa dello Spirito Santo, è stata donata questa fede, come ha mostrato il martirio della maggioranza di loro. D’altronde gli apostoli non hanno riconosciuto a Pietro un primato di potere, ma, quando si dovevano prendere decisioni comuni, hanno operato sinodalmente, come è riferito negli Atti degli apostoli. Questo sistema sinodale fu applicato nella Chiesa delle origini e si è conservato fino ad oggi in quella ortodossa, perché l’istituzione dei metropoliti e dei patriarchi, che si è sviluppata in essa, non è stata accompagnata da nessun riconoscimento ad essi di un primato di potere, ma soltanto di un primato di onore e di servizio. Questo sistema sinodale decentrato fu trasformato nella Chiesa occidentale in un sistema centralizzato, secondo il modello dei poteri imperiali mondani, al quale si sono ispirati tanti papi.

In alcuni recenti interventi di esponenti cattolici prevale ottimismo sulla condizione della Chiesa cattolica nel mondo moderno. Secondo queste analisi, la leadership cattolica in questi decenni si sarebbe mostrata all’altezza delle “sfide” della modernità, mentre nella Chiesa ortodossa avrebbe prevalso un atteggiamento di chiusura e di ripiegamento. Come giudica questi paragoni?

BARTOLOMEO I: La gloria esteriore e le emozioni suscitate dalle masse ci ricordano san Basilio il Grande, che critica quelli che giudicano la verità col criterio della folla. La forza della Chiesa proviene dalla grazia dello Spirito Santo e non dal numero dei fedeli o da altri dati. Se misuriamo il successo della Chiesa con criteri mondani, come il numero dei proseliti, le sue conquiste in diversi settori ed altri elementi di questo tipo, vuol dire che siamo già influenzati dal pensiero mondano.

Le cosiddette sfide del mondo moderno sono tanto vecchie quanto Adamo, perché psicologicamente l’uomo è lo stesso e le tentazioni che affronta attaccano sempre le stesse pieghe dell’anima indipendentemente dalla forma con cui appaiono di volta in volta. I Santi Padri Nittici insegnano che la radice dei mali è l’amore di se stessi, che porta tre effetti: la sensualità, l’avarizia e l’ambizione, ognuno dei quali produce innumerevoli frutti. La struttura dell’animo umano continua a restare invariabile e soltanto la grazia di Dio “cambia” e “rinnova” l’uomo. Di conseguenza ciò che occorre è il “dimorare” della grazia divina in noi, e non una qualche conquista ecclesiastica personale, morale o collettiva.

La Chiesa ortodossa molte volte al giorno si rivolge allo Spirito Santo, chiamandolo “Re Celeste” e supplicandolo “vieni e dimora in noi”.

Preghiamo che questo Spirito Santo dimori in tutti, e allora tutti i problemi che esistono tra le Chiese si risolveranno con facilità e in fretta, perché la stessa guida suggerirà nei cuori di tutti le stesse cose.

Questo Paracleto, lo Spirito della verità che procede dal Padre, il Signore ce lo ha inviato dopo la Sua resurrezione come aveva promesso; così soltanto tramite Lui, “nello Spirito Santo”, conosciamo Gesù Cristo e la Sua verità.

Di nuovo ripetiamo: voglia il Signore risorto inviare ad ognuno di noi sensibilmente il Suo Spirito Santo, affinché guidi ognuno verso tutta la verità. Perché non basta che la verità sussista nella “cassa” della Chiesa, occorre anche che sia vissuta nello Spirito Santo da ognuno. Così voglia il cielo. Amen.

(Tratto da 30 Giorni, anno XIX, n. 3 - 2001, pp. 12-15)

 Pubblicato originariamente in: http://digilander.libero.it/ortodossia/Intervista.html

 

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