ERESIE, ECUMENISMO:

I DIALOGHI SMASCHERATI

Di p. Georgios Metallinos,
Preside della Facoltà teologica dell’Università di Atene

Fonte: giornale “Ορθόδοξος Τύπος

 

L’Ecumenismo è uno “strumento” della politica Illuministica anti-Ecclesiastica del Nuovo Ordine. Osservando la situazione nella sua nuda realtà si giunge persino a constatare, infatti, una degradazione fetida… A questo punto ci si deve preparare ad un nuovo periodo nelle CATACOMBE per i Cristiani, per quelli che rimarranno fedeli alla verità, forse addirittura traditi in gran parte da coloro che sono alla guida della Chiesa. Ognuno di noi deve fare, quindi, una scelta: stare dalla parte dei fedeli oppure preferire l’amore del mondo?[1]

 

È una constatazione comune che i Dialoghi interreligiosi e intercristiani si fanno oggi sempre più frequenti. Mentre il Patriarcato Ecumenico prosegue e intensifica la sua vecchia politica, la Chiesa di Grecia compete con esso concentrandosi soprattutto verso due direzioni: nei rapporti con il Vaticano e il Papato da un lato e negli incontri interconfessionali dall’altro. E mentre il Patriarcato Ecumenico prosegue il percorso già segnato dal Patriarca Atenagora (†1972), senza ormai alcuna possibilità di autocritica e di autocontrollo, la Chiesa di Grecia, nelle sue strutture amministrative, nonostante le continue opposizioni della maggioranza del Clero e del Popolo devoto, tende a superare il Centro Patriarcale nelle iniziative, con ritmi sempre più accelerati, che giustamente fanno riflettere; quest’ultime di conseguenza violano in modo scandaloso la comune politica del passato, di prudente autocontrollo dei nostri arcivescovi, a partire da Crisostomo II (†1968) fino a Serafim (†1998). E la domanda è dura: Perché?

1.

Per quanto riguarda le relazioni ecumeniche, il Patriarca Atenagora ha inaugurato un percorso di costante accelerazione che ormai i suoi successori non possono modificare e frenare; anche la Chiesa di Grecia si è impigliata in questa “trappola”, e con la sua odierna leadership, nonostante un’apparente competizione con il capo del Fanar applica insieme a quest’ultimo la stessa politica ecumenistica e interreligiosa. Il Patriarca Atenagora ha contribuito senza inibizioni alla promozione degli obiettivi del Concilio Vaticano II (1962-1965), che consistevano nella sottomissione dell’Ortodossia al Papato, con il pretesto dell’unione. L’inizio dell’Uniatismo, promosso dal Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39), fu consentito in modo inammissibile anche dall’Ortodossia ellenofona, con l’illusione che si operasse un dialogo “alla pari”, al fine di raggiungere l’unione “nella verità”, mentre in sostanza si è concluso con il riconoscimento uniate del Papato, con la “alienazione” più grande e più radicale “dello stesso nucleo della Verità ecclesiastica” con la creazione di “un cristianesimo diverso agli antipodi del modo evangelico di vita e di salvezza dell’uomo” (Christos Yannaras). A partire dal Patriarca Atenagora, convinto araldo di questo percorso, insieme alle conferenze Panortodosse di Rodi (1961 e 1963) con una serie di proprie attività personali (come il suo celebre incontro con papa Paolo VI, Gerusalemme 1964) e nonostante le reazioni in particolare di Crisostomo II di Atene, il progetto stabilito in collaborazione con il Vaticano, fu promosso e imposto portando alla situazione odierna. Dal “Dialogo dell’amore”, un’invenzione ingannevole del Concilio Vaticano II, del quale Atenagora fu grande propagandista, ci siamo precipitati nel dibattito teologico, senza però che venga rispettata la condizione fondamentale per l’Ortodossia, cioè la rimozione del primato e dell’infallibilità papale, tenendo conto che l’istituzione papale consiste nel deterioramento più tragico dell’Evangelo di Cristo e nel principale ostacolo dell’incontro nella “verità” tra Cattolicesimo-romano e Ortodossia. Tuttavia la “politica” applicata dell’inganno e dell’intrappolamento viene confermata anche dalla decisione presa dal dibattito teologico, di non trattare argomenti su “ciò che divide” (principio permanente e inviolabile dei Concili Ecumenici), ma su “ciò che unisce”, al fine di creare un’illusione di unità e di identificazione attraverso la tattica uniate che si porta avanti. Ciò spiega l’insistenza del Vaticano di salvaguardare ad ogni costo l’istituzione dell’Uniatismo, mentre allo stesso tempo è stato promosso lo spirito del “riconoscimento reciproco” (di cui culmine è stato l’incontro di Balamand nel 1993 e l’indescrivibile testo sull’Uniatismo, firmato in comune da 9 Chiese ortodosse, con il Patriarcato Ecumenico per primo). Quando il beato Giovanni Romanidis protestò per tutto ciò e soprattutto per l’approvazione del metodo dell’Uniatismo, fu biasimato con lettere piene di rabbia (che sono conservate…) e fu indirettamente minacciato con la deposizione (non riuscì a scendere ad un compromesso con questa posizione, cosa che lo portò più velocemente alla morte).

2.

Si è parlato in precedenza di una determinata “linea” che viene seguita; e perché non rimanga nessun dubbio, presenteremo un inconfutabile “documento”, che rivela i fondamenti di questo percorso, come furono posti dal Patriarca Atenagora. Nell’agosto del 1971 un gruppo di sacerdoti Greci (venti provenienti dall’America e dieci dalla Germania Occidentale [allora Repubblica Federale di Germania (n.d.t.)]), insieme alle loro mogli e ad altre persone ancora, visitò il Patriarcato Ecumenico. L’allocuzione di Atenagora fu registrata da molti e si conservano tuttora i nastri magnetici. Il testo trascritto fu pubblicato sul giornale “Ορθόδοξος Τύπος” del 13.7.1979. Cercando d’interpretare i fenomeni e gli sviluppi odierni mi sono ricordato di quel testo, che ebbe un carattere evidentemente programmatico. Non esprime soltanto il mondo ideologico del passato Patriarca e la base spirituale delle sue azioni ecumeniche, ma anche le ammonizioni, che “opportunamente-inopportunamente”, lasciava alle persone attorno a lui, che si dimostrano programmatiche e inamovibili.

L’allocuzione di Atenagora

«… Qui, il 15 luglio del 1054, un cardinale di nome Umberto depose sull’altare di Santa Sofia, che visiterete domani, un libello contro il patriarca Michele Cerulario. E Cerulario rispose; non so se fece bene o no a rispondere, ma in ogni caso rispose. E questi due libelli, queste due lettere, furono chiamati scisma. Lo scisma non è mai stato proclamato né da Roma né dall’Oriente, ma lo abbiamo vissuto per 900 anni. Le conseguenze e i danni sono stati molti. Lo abbiamo vissuto per 900 anni! Senza poter dire a tuo fratello quanto lo ami! All’improvviso, un giorno di dicembre del 1963 ho letto sulla stampa che il Papa ha deciso di recarsi a Gerusalemme, e presiedendo qui in una Chiesa vicina, annunciai che avrei chiesto di incontrarlo. Arrivando qua ho emanato un comunicato tramite l’Associated Press per incontrarci. La stazione d’emissione del Vaticano ha dato conferma, e il 5 gennaio del 1964 ci siamo incontrati a Gerusalemme alle 9 di sera, nell’abitazione del Papa. E quando l’uno vide l’altro, le nostre braccia si aprirono automaticamente. L’uno si gettò tra le braccia dell’altro. Poi ci chiesero “Come ci siamo baciati”; fratelli, dopo 900 anni – si chiede come? Siamo andati mano nella mano nella sua camera e abbiamo fatto un discorso segreto. Cosa abbiamo detto? Chi sa cosa dicono due anime quando parlano! Chi sa cosa dicono due cuori, si scambiano delle emozioni! Cosa abbiamo detto? Abbiamo fatto un programma comune, in assoluta parità e senza contrasti. Poi abbiamo chiamato le nostre delegazioni, abbiamo letto un brano dell’Evangelo e abbiamo recitato il “Pater noster” recitandolo io per primo. Abbiamo detto che ci troviamo già sulla strada verso Emmaus e andiamo a incontrare il Signore nel comune Calice. Il Papa rispondendo mi offrì il Calice. Non sapeva che stavo per parlare del santo Calice né sapevo che mi avrebbe offerto il Calice! Che cosa significa? È un simbolismo del futuro. Nel ’65 abbiamo revocato lo Scisma, sia a Roma che qui con i nostri rappresentanti lì e i loro rappresentanti qui. E a luglio del ’67 il Papa venne qui. Sarebbe più facile che si spostasse una montagna dall’Italia fino a qui, come p.es. gli Appennini, piuttosto che il Papa venisse qui. Per la prima volta nella storia. Nel passato vennero qui altri Papi ancora, ma come prigionieri. Si sono fatte delle cerimonie nel tempio patriarcale, l’ho ricevuto nel mio ufficio, che poi vedrete, e lì abbiamo avuto un altro discorso ed eravamo d’accordo di incontrarci un giorno lì, da dove ne siamo usciti…

Fino al 1054 abbiamo avuto molte differenze. Sia in queste cose che in altre. Il Filioque; l’aggiunta nel “Credo” avvenne nel 6° secolo e l’abbiamo accettato per 6 secoli[2]. E molte altre differenze. Ma c’era amore tra di noi. E quando gli uomini si amano non esistono differenze. Ma nel 1054 quando abbiamo smesso di amarci, sono emersi tutti i contrasti. Ci amavamo, avevamo anche lo stesso sacramento; lo stesso battesimo, le stesse cerimonie e sopratutto lo stesso Calice. Ora che siamo ritornati al ’54, perché non ritorniamo anche al Calice? Ci sono due percorsi: il dialogo Teologico. Abbiamo anche i teologi da entrambe le parti, i quali studiano la questione del ritorno alle cose del vecchio tempo. E poiché non nutro molte speranze nel dialogo teologico – non ne ho speranze, mi dovete scusare voi teologi, siete in molti qui presenti – perciò preferisco il dialogo dell’amore. Amiamoci! E cosa succede oggi? Un grande Spirito di amore si espande sui Cristiani sia d’Oriente che d’Occidente. Già ci stiamo amando. Il Papa l’ha detto: “Ho guadagnato un fratello e gli dico Ti amo”! L’ho detto anch’io: ho guadagnato un fratello e gli ho detto Ti amo! Quando arriverà questa cosa? Il Signore lo sa. Noi non lo sappiamo. Ma quello che so è che arriverà. Credo che arriverà. Perché non è possibile che non arrivi, perché sta già arrivando. Perché già in America state dando la comunione a molti dal santo Calice e fate bene! Quando arrivano qui dei cattolici o dei protestanti e chiedono di ricevere la comunione gli offro il santo Calice! Anche a Roma succede la stessa cosa, come anche in Inghilterra e in Francia. Già sta arrivando da solo. Ma non deve arrivare dai laici e dai sacerdoti. Deve acconsentire sia la Gerarchia che la Teologia. È per questo che stiamo cercando di avere insieme a noi anche dei teologi, perché arrivi questo grande evento, cioè quello del Pan-cristianesimo. E insieme a questo grande evento si realizzerà un giorno anche il nostro sogno, quello della Pan-umanità. Ho vissuto 7 guerre. Ho visto tante distruzioni, versarsi molto sangue. E tutte le guerre sono guerre civili, tra fratelli… La vostra venuta qui mi rafforza questa fede che il grande e celebre giorno del Signore, l’incontro allo stesso Calice verrà…».

3.

Se si volesse analizzare in dettaglio questo testo, ci servirebbe molto spazio. Perciò ci fermeremo solo su alcuni punti chiave. L’interpretazione dello scisma del 1054 sicuramente non regge ad una critica seria e questo dimostra ignoranza o falsificazione della storia. D’altronde, il beato Patriarca, come indicato nel testo, non… provava molta simpatia per i teologi, e per quanto riguarda i dogmi, come spesso dichiarava, potevano stare nella “tesoriera” oppure nel “museo”. Trascuro il sentimentalismo inqualificabile del testo per quanto riguarda l’incontro con il Papa. Mi chiedo, anzi, perché le persone attorno ad Atenagora condannano a loro volta il devozionalismo delle fraternità… Dalle parole del Patriarca è più che evidente che ci sono stati degli “accordi”, per l’ulteriore comune percorso di Costantinopoli e di Roma. I sentimentalismi, d’altronde, bastavano per coprire i primi momenti dell’incontro. Inutile per lo stesso, anche, parlare dell’aggiunta al Simbolo (filioque). Non è strano allora, che prima ancora della sua apertura, il dialogo teologico o dialogo della fede viene sottomesso dal Patriarca al dialogo dell’amore, cioè al dialogo dei buoni rapporti e dei sentimentalismi? Su questa forma di “dialogo” il Patriarca mette le basi del “comune Calice”, l’intercomunione sacramentale, la quale secondo la sua confessione divenne una realtà già dal 1971. Poi, di conseguenza, ci stiamo chiedendo e rimaniamo sorpresi per l’offerta dei Sacri Misteri ai papisti, di recente a Ravenna oppure nelle chiese ad Atene, come hanno rivelato le lettere pubblicate recentemente dal giornale “Ορθόδοξος Τύπος”. Si dice, certamente, che a Ravenna c’è stata una ammonizione relativa ai romano cattolici presenti. La questione è perché le nostre analoghe ammonizioni di noi umili sacerdoti avevano “effetto” in Germania mentre a Ravenna erano inefficaci! La ragione è un’altra. Dopo l’accordo di Balamand (1993) tutti in occidente credono che l’unione è ormai un fatto e di conseguenza l’intercomunione sacramentale (interkommunio) è assolutamente naturale.

Tra l’altro, il santissimo Patriarca, secondo le pubblicazioni della stampa (vedi giornale “Η Καθημερινή” del 16.6.02) ha collegato l’unione cristiana con il progresso dell’Unione Europea: “la coesistenza nello stesso ambiente politico-economico – disse – dei popoli europei, che appartengono ad entrambe le chiese, contribuirà certamente al loro maggiore avvicinamento e aiuterà il ristabilimento dell’unione che esisteva prima dello scisma”. Ecco, con quanta semplicità! Gli elementi mondani si mobilitano per cancellare i prerequisiti interni, puramente ecclesiastici.

4.

Lo spirito e la “linea” di Atenagora hanno intrappolato tutti, i quali pur volendolo ora non osano aggirarli o almeno modificarli a causa dell’indebolimento dei nostri giudizi, avvenuto nel frattempo, e della relativizzazione e ideologizzazione della Fede secondo i modelli politici. Questa medesima Fede alla fine è stata ridotta (da noi) ad un insieme di verità teoriche, le quali si possono sottomettere ai compromessi mentre dovrebbero essere una demarcazione dell’evento dell’esistenza in Cristo. Dalla piccola esperienza che abbiamo dai dialoghi intercristiani, siamo a conoscenza ormai da decenni del metodo applicato dagli eterodossi: impegnarsi a coltivare i rapporti personali e il clima d’amicizia (mondana) tra i teologi con tutti i mezzi disponibili, ma anche il rifornimento di appoggi finanziari (molti dei nostri metropoliti credono che sia un motivo di vanto iscrivere nei loro Istituti la loro gratitudine verso il C.M.C. [(W.C.C.) Consiglio Mondiale delle Chiese] o il Vaticano, per il loro aiuto finanziario) per l’attenuamento e l’indebolimento di ogni atteggiamento di testimonianza e di confessione. È ciò che succede ormai da decenni. Il predominio delle pratiche mondane e politiche è assoluto.

In questo spirito si muove anche la guida della Chiesa di Grecia, dove anche qui si usa lo stesso pretesto: “Stiamo dialogando – sostengono –, non stiamo cambiando la nostra fede”! Da un lato il dialogo come “apertura amorosa” verso l’altro (usando il linguaggio degli ecumenisti) è beato. Tuttavia, dall’altro lato, il dialogo si intende ormai da anni come “riconoscimento reciproco” e non come incontro nella Verità, cioè nell’unico Cristo, come è espresso nelle parole e nella vita dei nostri Santi. Questo però costituisce l’“uniatismo”. Questo atteggiamento uniatizzante agevola i nostri comportamenti, poiché il riconoscimento di un non Cristianesimo come Cristianesimo (e del Papato p.es. come Chiesa) avviene con il pretesto e l’illusione, da parte nostra, della continuità ininterrotta della nostra tradizione, visto che formalmente ed esteriormente non neghiamo la nostra fede e la nostra tradizione. Il problema che si pone è se riconoscendo ogni falsità come cristiana e ortodossa, si riesce a salvaguardare anche la nostra Verità. «Che comunanza v’è tra la luce e le tenebre?» (2 Cor. 6, 14).

L’ansia per la salvezza del Cristianesimo in Europa si presenta, infatti, come giustificazione per questo (nostro) comportamento, visto che la politica anticristiana dei potenti nell’Unione Europea cresce pericolosamente e minacciosamente mentre nella Costituzione europea, che è in progetto, non si fa alcun cenno al patrimonio cristiano del mondo europeo. E fin qui le cose stanno bene. Ma la domanda è: alleandosi con il Papato e sostenendolo come Chiesa, che tipo di Cristianesimo stiamo cercando di salvare? Sacrifichiamo l’Ortodossia per salvare il Papato? Che ciò non accada! A cosa serve questo “Cristianesimo” all’Europa? Tutta la sventura storica (ideologica, sociale e politica) dell’Europa (e non solo!) non ha forse le sue radici nello stravolgimento che il Cristianesimo subì, con lo sviluppo e il consolidamento della struttura papale? Se non “muore” il Papato attraverso il suo pentimento in Cristo e il suo ritorno nella Chiesa di Cristo, cioè se il Papato non diventa Chiesa, allora offrirà un cristianesimo adulterato in Europa e nel mondo. Invece di predicare l’Ortodossia dei nostri Padri nell’Europa spiritualmente semimorta, ci riduciamo a stampelle addolorate del Papato e dello stato del Vaticano, ripetendo il crimine commesso dai nostri Padri “Bizantini” nel 1438. A quel tempo ci avevano invitati gli antipapisti romano-cattolici al Concilio di Basilea (1431-1437/38), che lottavano per scuotere il deprimente giogo papale. Noi invece abbiamo preferito accettare l’invito di papa Eugenio IV (1431-1447) il quale con il Concilio di Ferrara-Firenze cercava di salvare la sua autorità. E ci siamo schierati a favore del papa e abbiamo sostenuto il Papato; guai se non fossimo stati salvati, dalla sicura franchizzazione, da San Marco e dai “testardi” monaci e chierici di “Bisanzio”. Quindi, invece di presentare in Europa l’Ortodossia dei nostri Santi, stiamo rafforzando con il nostro atteggiamento il Papato che sta crollando nella coscienza degli europei, riconoscendolo come Cristianesimo e come Chiesa. La cattività babilonese alla quale siamo stati condotti dalla linea di Atenagora è, come sembra, insuperabile.

5.

Ciò che accade nell’ambito del dialogo intercristiano vale anche per la nostra politica interreligiosa. Anche in questo caso la “linea” è ormai un dato di fatto ed è diventata determinante. Nel discorso più sopra indirizzato ai sacerdoti ortodossi della diaspora ellenica, il Patriarca Atenagora aveva espresso la sua convinzione che “con l’unione delle Chiese ci incamminiamo verso una Pan-umanità”. Questo è stato chiaramente espresso nel 1972 (giornale “Το ΒΗΜΑ”, 22.8.1972) dal già arcivescovo di America sig. Iakovos che ricoprì anche la carica di copresidente del C.M.C.: “... Il C.M.C. prosegue verso la realizzazione del suo obbiettivo tramite la fusione della civiltà, delle religioni, e dei popoli”. D’altronde in una sua intervista nella rivista “ΝΕΜΕΣΙΣ” (Novembre 1999) esprime alla giornalista sig.ra M. Pini la sua delusione, perché questo stesso obiettivo del C.M.C. tarda a realizzarsi. Lo scopo dell’esistenza del C.M.C. non era altro, alla fine, che l’Onnireligione, cosa che si è chiarificata con pienezza nella nostra epoca. Chiediamo a questo punto ai colleghi altivolanti oratori d’amore e agli oratori lirici dell’idealizzazione (secondo papas Giovanni Romanidis): È proprio questa la “apertura d’amore” verso gli altri oppure è un’(auto)assoggettamento dell’Ortodossia all’inganno dei molti volti e dei molti nomi? Indubbiamente non è l’Ortodossia dei nostri Padri che si sottomette, ma la nostra fede corrotta, già sottomessa alle nostre passioni (interessi ecc.) che mostra una cacodossia simulante l’Ortodossia.

Ma anche in questo caso stiamo seguendo fedelmente la “linea” del Concilio Vaticano II che seguiva fedelmente anche Atenagora. Questo Concilio ha proclamato che le tre grandi religioni monoteiste (fedi) credono allo stesso Dio, perché il dialogo si possa agevolare e il progresso verso l’unione si possa raggiungere anche in ambito interreligioso. Mi si perdoni se sto per ripetere qualcosa già riferito in un’altra occasione. Quando nel 1969 mi recai in Germania (l’allora Germania Occidentale) e in particolare a Bonn, mi sono trovato in un ambiente nel quale dominavano le decisioni e le posizioni del Concilio Vaticano II. Il mondo protestante (avevo rapporti con luterani) nonostante il contrasto con il Papato condivideva questa apertura verso le grandi religioni perché era proprio questo che promuoveva il movimento universale che era ormai diventato una realtà. In un seminario di Patrologia (in ambiente luterano) era sorto il discorso della fede delle varie religioni (culti) credenti nello stesso Dio. Allora consapevole della mia grecità, ho fatto uso del metodo socratico: “Quanti soli esistono nel nostro mondo?” – chiesi. Con un sorriso accondiscendente mi risposero: “Naturalmente uno”. “No – ho replicato. Poiché come è possibile che io possa guardare lo stesso sole qui in Germania mentre in Grecia, se lo fisso divento cieco?”. Poi ho concluso: Il sole è uno, ma differisce dal modo e nelle condizioni della sua contemplazione. Lo stesso vale anche per Dio: è uno, ma ogni religione come anche ogni gruppo cristiano, lo vede con il proprio modo. Quindi, secondo il modo di contemplare Dio (questo si chiama teologia) si ha in ogni caso un altro Dio per l’uno o per l’altro. L’Ortodossia dei santi Padri è la coincidenza della nostra conoscenza di Dio con l’autorivelazione di Dio nella storia. La “fede” oggettiva, l’automanifestazione di Dio ai suoi santi (“fede creduta”) deve coincidere con la nostra considerazione e accettazione di Dio (“fede accolta”). È proprio in questo che l’Ortodossia è diversa dall’eresia e dall’inganno.

6.

Nel 1986 ad Assisi in Italia sono iniziati ufficialmente gli incontri interreligiosi e le preghiere comuni. Di conseguenza non sono concili scientifici religiosi ma riunioni di confessione di unità, in base all’unico Dio, che hanno luogo attorno al Papa, come centro di questa unità e guida spirituale, praticamente di tutto il mondo. È per questo che in Occidente il Papa è stato chiamato “2° planetarca”[3]. Bisogna notare che a capo della nostra rappresentanza patriarcale nel 1986 era il Metropolita di Pisidia (oggi) sua eminenza Metodio (Fougias) mentre ad “Assisi II”[4] nel 1994 sua eminenza l’arcivescovo di Albania sig. Anastasios (Giannoulatos). Un nuovo incontro interreligioso si è tenuto sotto il Papa quest’anno (2002), ancora una volta ad Assisi, con la partecipazione di 250 persone che rappresentavano 12 religioni. Non mancarono naturalmente gli Ortodossi, sotto lo stesso Patriarca Ecumenico.

Come è stato giustamente osservato, “i dialoghi interreligiosi sembrano corrispondere pienamente con le opinioni e la pratica su cui i sindacalisti, i politici e le ideologie conversano oggi” (Christos Yannaras). Dopo l’11 settembre 2001, qualsiasi cosa possa significare questa data per il nostro mondo, è stato ormai reso evidente che questi dialoghi avvengono “secondo l’ordine”[5] e soprattutto per l’appoggio e la propaganda del terrorismo ufficiale e legale nei confronti di quello ufficioso e “sfaccendato”. I giorni d’oggi, quindi, stanno ridicolizzando anche i dialoghi religiosi, che stanno contribuendo alla vigilanza del mondo secondo gli interessi e le condizioni dei potenti della Terra. E noi, obbedendo alle regole e alla “linea”, partecipiamo trasformando l’Ortodossia in strumento e serrafila. Di conseguenza siamo noi stessi a imbavagliare l’Ortodossia, che invece di essere Colei che pone il “giudizio” e il “rimprovero” dell’iniquità, si trasforma ai nostri occhi nel suo sostenitore e mantenitore. Anche in questo caso, naturalmente, c’è la semplice scusa: per non essere caratterizzati come reazionari e per rafforzare il nostro volto europeo e neoclassista! Quindi la ricerca della libertà di culto, indebolita o persa, come “componente essenziale del credo monoteista” (A. D. Papagiannidis, giornale “Το ΒΗΜΑ” del 9.6.02) sarebbe benedetta se non si trattasse di incontri “secondo l’ordine”. L’incontro interreligioso ad Atene, in preparazione ma rimandato (preceduto da un altro a Cipro), dimostrerà quanto veramente si tratta di una “deposizione della nostra testimonianza” e della proposta ortodossa come l’unica soluzione ai mali del mondo e non del livellamento dell’Ortodossia nell’onnireligiosa, e di conseguenza sincretistica, macerazione. Il nostro Capo d’Ufficio della nostra Chiesa a Bruxelles ha già dichiarato che il nostro tentativo è di “preparare il mondo, educarlo perché non reagisca (cioè a questi dialoghi), formare (cioè manipolare – G.D.M.) la coscienza del mondo”. Quindi anche in questo caso si segue una certa “linea”; stabilita però da chi? Tuttavia il richiamo da parte di molti Chierici, Igumeni, Padri spirituali e teologi ortodossi noti, presentato nel “Memorandum per l’Ecumenismo” mostrato all’Arcivescovo Christodoulos, non è stato accettato. In esso si legge:

«L’Ecumenismo interreligioso è galoppante. Non si limita al dialogo filosofico o sociale (n.d.a.: quindi non è respinto il dialogo come “apertura d’amore”…). Prosegue sul piano teologico ed è in cerca dei punti di fede in comune tra ortodossi ed eterodossi. Non prende in considerazione le differenze essenziali. Dichiara che anche nelle altre religioni, e in particolare quelle monoteiste, c’è la salvezza. Così viene capovolta la credenza cristiana fondamentale, che «in nessun’altro c’è salvezza…»[6]. Il sincretismo interreligioso relativizza la verità evangelica. Prosegue anche sul piano del culto. I Gerarchi o i Protogerarchi ortodossi partecipano a manifestazioni interreligiose persino simili a quelle di Assisi o a preghiere comuni e dossologie con eterodossi e credenti di altre religioni, anzi con Giudei e Musulmani. Ci si chiede quindi: quale Dio lodano?... I santi Apostoli predicavano nelle Sinagoghe, ma predicavano solo Gesù Cristo e questi Crocifisso, ed è per questo che ci sono state persecuzioni, imprigionamenti, torture e morte…».

Noi, al contrario, che praticamente mettiamo sullo stesso piano Cristo con qualsiasi altra divinità, riceviamo onori e lodi, godendo riconoscenze e premi. E soltanto questo mostra che “qualcosa non va” con noi. Il mondo «ama ciò che è suo» (cfr. Giovanni 15, 19) e ci identifichiamo con i poteri del mondo, quando amiamo «la gloria degli uomini più della gloria di Dio» (Giovanni 12, 43).

Nei dialoghi interreligiosi incontriamo la stessa fretta, la stessa mentalità e gli stessi metodi che si osservano anche durante la conduzione dei dialoghi intercristiani. Perché alla fine si tratta comunque dello stesso obiettivo. L’inter-abbraccio di queste due forme della stessa cosa, della stessa sostanza del dialogo che è apparso già a Canberra di Australia (VII 3. Assemblea del C.M.C.), dove i Cristiani invitarono alla preghiera comune anche i pagani. Non si tratta evidentemente di libertà di culto e di “apertura d’amore…”, ma di relativizzazione della fede, come risulta dall’affermazione del responsabile di questi dialoghi, l’Eminente Metropolita di Svizzera sig. Damasceno: “Questo approccio – scrive – ci rende coscienti del fatto che, in fondo, una Chiesa oppure una moschea… aspira alla stessa consacrazione spirituale dell’uomo”. Ciò non comporta la cancellazione automatica della salvezza di Cristo e dell’opera del Santo Spirito? Se la possibilità di salvezza, cioè possibilità di divinizzazione, esiste anche “in qualcos’altro”, allora a che scopo c’è stata la rivelazione in Cristo, fuori della carne nel Vecchio Testamento e nella carne nel Nuovo Testamento? A che scopo l’Incarnazione, la Pentecoste, la Chiesa, come Corpo di Cristo e Comunione dei Santi? Le nostre azioni consistono nel rifiuto del Cristianesimo, nonostante i nostri bei discorsi ingannevoli che non possono ingannare più nessuno.

7.

Poiché si parla sempre della “linea”, non dimentichiamo che nel 1970 a Ginevra, dove l’“oracolo” di ogni intrecciamento anticristiano-antiortodosso, nella seconda conferenza dell’Istituto americano col titolo “Tempio della Comprensione, INC”, cioè di una “Associazione delle Religioni Unite”, il Segretario Generale del C.M.C. Eugene Blake ha invitato i capi di tutte le religioni (2 aprile) ed ebbe luogo una liturgia e preghiera interconfessionale nella Cattedrale di San Pietro, durante la quale ciascuno ha pregato nella propria lingua e secondo il rito della sua religione. Il fine dell’esortazione era, praticamente, la coesistenza nel culto dello stesso Dio. A questo punto però si tratta di fedele applicazione del metodo massonico basato sul superamento di ogni ideologia e fede, al fine di raggiungere l’unità, soprattutto attraverso il principe di questo mondo. Secondo il materiale pubblicitario esistente di questi incontri erano presenti anche rappresentanti ortodossi, mentre l’Eminente Metropolita di Silivri sig. Aimilianos del Patriarcato Ecumenico, che oggi vive in Aigion, è membro della “Commissione Internazionale del Tempio”.

Eppure a tutte queste questioni c’è stata data la risposta nel Santo Evangelo, il quale smentisce i nostri pretesti. Quando gli ecumenisti ci respingono considerandoci fanatici e fondamentalisti, respingono insieme a noi anche i nostri Santi di cui imitiamo l’umile atteggiamento. Ma anche quello stesso Signore, il Quale non volendo riunire attorno a sé dei sostenitori sacrificando la verità, quando la Sua parola fu considerata “dura” e molti lo abbandonarono, si rivolse ai “dodici” intimoriti e chiese loro: «volete forse andarvene anche voi»? (Giovanni 6, 48 e seg.). È questa la nostra “linea”, cari oratori dell’amore e della bellezza, e non la “linea” di quanti fanno patti con i principi di questo mondo e dei nostri falsi Pastori.

8.

Bisogna, tuttavia, considerare il fatto che la mancata osservanza della linea (già seguita dai nostri Capi) da una parte esponente del popolo ortodosso, cioè il piccolo gregge” (Luca 12, 32), non sarà tollerata a lungo dai poteri del Mondo, sia dall’interno che da fuori della Chiesa (cfr. Atti 20, 29 e seg.). La teoria della Propaganda insegna che il metodo che viene seguito in questi casi è innanzitutto il beffeggiamento dei dissidenti (già stanno chiamando tutti noi “pittoreschi”), la demolizione morale e la loro svalutazione per proseguire, se si ritiene opportuno, fino all’annientamento fisico. Si stanno già componendo i capi di accusa contro i reazionari. Molto di recente il Congresso Americano ha vietato ogni definizione delle diverse ideologie e in particolare dei gruppi religiosi, come eretici, e così via. Un po’ più delicatamente (tramite la Stampa e la critica letteraria) viene disapprovato oggi l’Ortodosso che osa, in base alla sua fede, caratterizzare gli “altri”, sulla base dell’implicito e non celato fattore, che tutte le religioni costituiscono un percorso verso la conoscenza divina in modo diverso. Queste sono le cose che hanno dichiarato dei noti Capi ecclesiastici.

Non è molto noto che, tempo fa, gli autori del libro del corso di religione del 1° anno di Liceo (Christos Gotsis, p. Georgios Metallinos e Giorgos Filias) abbiamo ricevuto un “estragiudiziale” dai “Testimoni di Geova” e dagli “Scientologisti”, riguardo i capitoli relativi del libro, che, naturalmente, studiano questi ambienti dalla prospettiva ortodossa. L’estragiudiziale fu spedito al Ministero dell’Istruzione Nazionale e delle Religioni [Υπ.Ε.Π.Θ.] e all’Istituto Pedagogico. Certamente abbiamo risposto ma lo sviluppo lo ignoriamo. Però è più nota l’avventura del capitolo del libro sulla Massoneria. Poiché la partita è passata al sottoscritto che, come autore di questo capitolo, ho vissuto in ogni dettaglio i movimenti e i metodi ma anche le pressioni esercitate per l’abolizione del capitolo; il risultato è stato di dover rielaborare tre volte e alla fine proporre che venga esposta prima la testimonianza della stessa Massoneria e contemporaneamente la sua considerazione ortodossa. È tragicomico il fatto che questi capitoli ci sono stati dati dal Programma Analitico del Ministero (Istituto Pedagogico), il quale (Programma Analitico) determinava anche le linee che si dovevano seguire. Quindi la domanda che si pone è: Chi governa alla fine questo paese? Certamente ormai noi lo sappiamo con grande precisione, ma dall’atteggiamento del Ministero si chiarirà, se come Stato riusciamo ancora a resistere alle grandi pressioni.

Con la nostra trasformazione (volontaria ed entusiastica) in νομαρχία [= prefettura] (e non επαρχία [= provincia]) dell’Unione Europea, quest’ultima come mandante e “reparto” del Nuovo Ordine e della sua Direzione, compare a determinare sempre più apertamente e palesemente, tramite varie vie, la vita e i nostri comportamenti travasando in questo modo, con mille mezzi, le sue proprie mentalità. Di recente il nostro Dipartimento (Teologia) ha ricevuto un documento (per essere precisi senza firma!), proveniente dai responsabili dell’Università riguardo i programmi europei, il quale mentre da un lato ci elogia per la nostra risposta con successo ad un programma a noi proposto con il titolo “Ortodossia e Globalizzazione”, dall’altro lato invece giudicò il nostro programma “insufficiente”, perché tra l’altro, “è stato constatato che questo programma è, in genere, di natura confessionale e per di più di natura applicata, senza che esso stesso sia inserito nell’ampio programma dello studio dei fenomeni religiosi e della Religione, come fenomeno sovrumano e come realtà”. E questo benché la prospettiva scientifica della Religione[7] non manchi nel nostro Programma (la insegna un professore speciale). Ma l’obiettivo è di promuovere il carattere “confessionale” del nostro Dipartimento e in genere delle nostre Scuole Teologiche. Ciò significa che tra alcuni anni le nostre scuole teologiche si trasformeranno (se riescono a sopravvivere all’interno dell’Università) in scuole di studi religiosi scientifici. Per questo scopo si tenta (anche da parte della Chiesa) di portare le scuole teologiche sotto la giurisdizione dell’Amministrazione della Chiesa. Quando parlo della nostra sovietizzazione all’interno dell’Europa Unita, intendo proprio questo: Ciò che gli altri Ortodossi hanno vissuto nel periodo soviet-comunista, stiamo rischiando di viverlo noi Greci ortodossi nell’Europa Unita e nel Nuovo Ordine.

Ecco il percorso che si sta tracciando. La nostra libertà si sta pericolosamente limitando, abbiamo l’ordine di agire, di incamminarci “fedeli alle loro leggi”[8] e in base alla “linea” tracciata ormai da decenni. Altrimenti non riusciremo ad avere il “volto europeo” e ad entrare come liberi partners all’interno dell’Europa. La nostra Guida ecclesiastica si sente pronta a resistere, preferendo l’“obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori dell’Europa” (cfr. Ebrei 11, 26) soprattutto quando si tratta di tesori reali sotto forma di fondi europei? La nostra Chiesa è disposta e pronta, se necessario, a scegliere le catacombe? Prego che lo sia! Comunque lo dimostrerà presto. Ma se non lo è allora questo significa che si separa dal pio gregge, che rimane fedele alla tradizione dei suoi Santi, e lo tradisce. Ci siamo abituati a considerare l’obbedienza come somma virtù dell’ascesi dell’ortodosso. E, infatti, è un’azione costante dei nostri Santi. Se, però, l’“obbedienza” è stata sempre riferita «a quelle cose che non pongono ostacolo al comando di Dio», secondo Basilio il Grande (P.G. 31, 860), ora solo la disobbedienza salva!

 

Traduzione a cura di © Tradizione Cristiana;
giugno 2009


 

[1] O adulteri, non sapete voi che l’amicizia di questo mondo è inimicizia con Dio? Chiunque pertanto vuol essere amico di questo mondo, si fa nemico di Dio” (Giacomo 4, 4) (n.d.t.).

[2] Atenagora, forse preso dalle troppe “emozioni”, fa confusione (o forse lo ignora!?) su cosa ecclesiologicamente prima ancora che teologicamente ha rappresentato e rappresenta l’eresia del filioque; basti confrontare quanto dicono i santi Padri citati da Pierre L’Huillier nell’articolo 8 del “Commento al Simbolo della Liturgia”; vedi: http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/dogmatica/simbololiturgia.htm (n.d.t.).

[3] In Grecia il presidente degli U.S.A. è chiamato anche “planetarca” cioè “colui che governa il pianeta”. In inglese è “World Ruler” (n.d.t.).

[4] Cioè al secondo incontro di Assisi – 1994 (n.d.t.).

[5] Espressione usata dall’apostolo Paolo: “secondo l’ordine di Dio” (“κατ' επιταγήν Θεού”); ricorre spesso nelle sue lettere p.es. in Romani 14, 25 e 1 Timoteo 1, 1 (n.d.t.).

[6] Atti 4, 12 (n.d.t.).

[7] Il termine Θρησκειολογία (θρησκεία = religione), in inglese “scientific perspective of Religion”; si tratta di una lezione-studio della Religione in generale, senza interpretazione dei fatti da alcun punto di vista religioso (n.d.t.).

[8] Dalla scritta di Simonide di Ceo (555 a.C. – 466 a.C.) incisa sull’epitaffio dedicato agli Spartiati di Leonida: “O, straniero, annuncia ai Lacedemoni che noi qui giacciamo, fedeli alle loro leggi” (n.d.t.).

 

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